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venerdì 19 settembre 2014

Quando la giostra gira lentamente: Tiziano Terzani


"Cosa fa, della vita che abbiamo, un'avventura felice?" si chiede Tiziano Terzani, un uomo che non ha mai smesso di dialogare con il mondo e con la coscienza di ciascuno di noi. …Anni fatti di dubbi, di nostalgie, di una perseverante ricerca della gioia, anni in cui dovette talvolta domare "la belva oscura" della depressione. E proprio attraverso questo continuo interrogarsi, Terzani maturava una nuova consapevolezza di sé, affidata a pagine più intime, meditazioni, lettere alla moglie e ai figli, appunti, tutti accuratamente raccolti e ordinati dall'autore stesso, fino al suo ultimo commovente scritto: il discorso letto in occasione del matrimonio della figlia Saskia, intriso di nostalgia per la bambina che non c'è più e di amore per la vita, quella vita che inesorabilmente cambia e ci trasforma. Tiziano Terzani, fiorentino, corrispondente di guerra, è stato uno dei giornalisti più noti a livello internazionale e uno degli autori di libri di maggior successo in Italia, con più di 2.500.000 copie finora vendute.
Profondo conoscitore dell'Asia, ha scritto per il settimanale tedesco Der Spiegel e ha collaborato con il Corriere della Sera, l' Espresso e la RepubblicaLa sua produzione letteraria comincia nel 1973 con Pelle di Leopardo, dedicato alla guerra in Vietnam; segue Giai Phong! La liberazione di Saigon (1976), tradotto in varie lingue e selezionato in America come Book of the Month. Holocaust in Kambodscha (1981), è la testimonianza degli eccidi dei khmer rossi; mentre La Porta Proibita (1985), pubblicato in Italia, Stati Uniti e Gran Bretagna, è uno sguardo critico sulla nuova Cina che gli varrà l’espulsione dal Paese. Buonanotte, Signor Lenin (1992), vincitore del Thomas Cook Award, è la cronaca in diretta del crollo dell’URSS. Un Indovino mi disse (1995), è l’opera che ha reso famoso Terzani. Tradotto in 22 lingue, è tuttora il suo maggior successo internazionale. Nel 1998 esce In Asia, in cui Terzani descrive le trasformazioni storiche, culturali ed economiche del continente.Nel 2002, con Lettere contro la Guerra, Terzani inizia il suo lungo e sofferto pellegrinaggio di pace tra Oriente e Occidente. Nel 2004 viene pubblicato Un altro giro di giostra, cronaca della malattia di cui morirà quello stesso anno, Un libro che ha venduto più di 500.000 copie.Due mesi prima di morire, Terzani rilascia a Mario Zanot la sua ultima intervista, che diventerà il film Anam, il senzanome, il suo testamento spirituale. Un altro record editoriale (80.000 copie DVD vendute) e che viene tuttora proiettato nelle scuole, negli ospedali e nelle associazioni culturali di tutta Italia. Nel marzo 2005 è uscito postumo il libro La fine è il mio inizio scritto a quattro mani con il figlio Folco, un lungo e appassionato dialogo in cui i due ripercorrono gli avvenimenti più significativi dello scorso secolo. SUA MOGLIE Angela e i figli, un paesino toscano dov'è tornato a morire, l'Asia che lo ha accolto. Indovino tra i candidati del premio Bancarella. Nonostante la delusione che gli procurò il mancato riconoscimento finale, sapeva di aver vissuto e raccontato con quella generosità che è forse la principale chiave del suo successo ancora vivo e crescente. Una generosità che non gli fu riconosciuta in vita, e non soltanto dai giudici dei premi letterari, ma spesso anche da chi gli commissionava gli articoli, come si evince ovunque nella sua ultima opera, la più intima e dolorosa, la cronaca di esaltazioni e depressioni profonde raccontate a sé stesso, unico lettore autorizzato a sfogliare quelle pagine fino al giorno della sua morte.Dell'Asia svelata articolo dopo articolo e libro dopo libro, lui stesso aveva fatto fatica a carpire i segreti, pure dopo aver attraversato per 34 anni le strade di Pechino, Hong Kong e Saigon, di Phnom Penh e dei villaggi laotiani, di Tokyo e di Bangkok. Da qui la semplicità del suo narrare, un altro motivo della sua longevità artistica, del suo trasformarsi sempre più da giornalista a scrittore per giungere  -  i due insieme - alla meta di un uomo senza nome che non conserva crucci. Infine quando dieci anni fa se n'è andato in pace, ha lasciato tra le pagine ordinate e selezionate molte frasi per l'amata Angela, che ha sopportato  -  si legge qua e là  -  le sfuriate nate dalla frustrazione di un mestiere che richiedeva anche a un maestro come lui sempre di più velocità e movimento. Il contrario delle aspirazioni di un uomo già maturo, che aveva bisogno di rallentare il ritmo e riflettere sempre di di più.

Per Tiziano Terzani sono stati questi gli amori e le bussole di un'esistenza durante la quale la sua idea di destino si è formata raccontando se stesso e il mondo che lo circondava, quasi mai viceversa.E' forse questo che a dieci anni dalla sua morte colpisce sempre più fortemente, rileggendo la sua vasta produzione di articoli e libri, uno più interessante e intenso dell'altro. Il suo scrivere in prima persona, il rito dei diari quotidiani appena pubblicati in collezione, la riflessione sui dettagli di una vita spesa in viaggio "fuori e dentro", sono stati una delle chiavi del suo successo e della svolta finale: cancellare il proprio nome dall'associazione con il 'circo Barnum' mediatico che celebra artificialmente le persone 'arrivate'. erzani il successo l'ha sudato, conquistato di trincea in trincea, di viaggio in viaggio, di delusione in delusione. Ma dai tempi della malattia si faceva chiamare Anam, il senzanome, perché personalmente non ne aveva più bisogno. Aveva reso il suo cognome un brand, non commerciale, ma di quella nicchia sugli scaffali dove trovi le cose buone, nel suo caso l'opera di un giornalista d'origine controllata, dal cui stile e profondità potevano attingere parecchie generazioni di cronisti e scrittori a venire. Non credo che sia un caso se Terzani alla fine si sia deciso a lasciare questo mondo privo di risentimenti. Quando il suo cuore ha cessato di battere nella ormai celebre casa di Orsigna, circondato dall'affetto dei suoi e dal calore dei lettori in numero crescente, tutti hanno avvertito uno spirito bonario sprigionarsi da quell'uomo che era stato talvolta arrogante, forse depresso come tanti uomini e donne, ma che fu in grado di scoprire finalmente ciò che aveva cercato ovunque, dalle remote vette dell'Himalaya alla giungla del Vietnam, tra i marciapiedi lindi di Manhattan e le steppe caucasiche. Un qualcosa che i suoi maestri induisti e buddhisti tibetani definivano con il termine bodhicitta.Terzani ha sempre fatto sapere il più possibile di sé, una volta saltato oltre il fronte della scrittura in terza persona, la sottile trincea dove al cronista è permesso solo di registrare gli eventi con l'occhio vigile ma invisibile. Lui era un uomo immerso nel mondo e nel presente col naso verso il vento e le dita sulla tastiera della "Lettera 32", prima che sul moderno laptop dove puoi cancellare e incollare a piacimento. Era il segugio che ti lascia fiutare la sua stessa pista anche se sapevi bene che doveva concludersi a un certo punto, perché le pagine di giornale sulle quali ha scritto per tanti anni non avevano bordi infiniti, ma limiti tipografici. Terzani si è spento con una certa serenità perché ha potuto guardare indietro e ha visto che la sua vita spesa a viaggiare e raccontare non aveva in fondo soddisfatto solo sé stesso, né unicamente gratificato il suo ego, smisurato come quello d un artista affascinato dalla sua tela, ma anche i lettori di professione, quelli che portarono il suo

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Pierpaolo Pasolini
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