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mercoledì 13 febbraio 2013

Il Dante della Commedia divina è l’inquisitore nella letteratura di un Occidente smarrito


di Pierfranco Bruni

L'estetica del tragico non può conoscere la malattia delle ambiguità dantesche. Siamo in un tempo in cui lo scontro culturale e storico ha bisogno di interpretare e non di giudicare, condannare e vivere le reticenze.
Dante è stato nel mio cammino ma anche sul piano filosofico e teologico delle cantiche resta distante da una testimonianza in cui l'esempio dell'uomo, per uno scrittore e per un poeta, deve farsi testamento.

Il moralismo non è parte del mio viaggio nella concretizzazione della recita della salvezza che propone Dante. Beatrice ha l'angelico sguardo non della purezza ma della sfuggente ipocrisia.
Dante è il giocatore fuggiasco tra guelfi e ghibellini nell'agitar il trono di Bonifacio ma si piega in un esilio dal quale può tutto. La fuga e il non voler accettare il ritorno per comoda e inqualificabile posizione storica.
Le sue classificazioni sono la retorica di un Occidente che ha sempre temuto di confrontarsi con il mistero dell'Oriente. Dante non è Rumi. Non ha il segno contemplante di Kajiam. Si agita nell'infoltire gironi e girotondi con un solo obiettivo che è quello della vendetta.
Nella cultura cattolica dantesca la vendetta ha un suo corso. Nell'illuminante cammino di Rumi c’è la contemplazione.
Perchè non mi piace Dante? Perchè non si può costruire una cultura e una poetica sulla visione del processo e quindi del giudizio. Cosa è la Commedia? Uno sfogliare sul filo della poesia dei verbali processuali.
Il Dante che amo è quella della Vita nuova. Non certamente quello del metter in fila per nove le stelle e nell'inserire nei cerchi i buoni e i cattivi. Niccianamente resto sempre al di là del bene e del male. E Come Zaratustra, o come gli sciamani, e non come la cattolicità furba e furbesca, infilo il mio pensiero e il mio pensare nelle alchimie.
La letteratura occidentale che continua il suo viaggio non può restare ancorata ai pregiudizi. Paolo e Francesca condannati per amore. Ma siamo al superamento del Cantico dei Cantici? Uccidiamo ancora Abelardo. È facile. Eppure le epoche successive hanno sempre osannato l'esiliato che, attraverso le sue opere, fa scelte rigorosamente politiche.
La Commedia divina è soltanto una commedia ma di divino in un poema che condanna, giudica e propone leggi del contrappasso cosa può esserci? La commedia è un agitar di anime.
Avevano ragione i Futuristi. Avremmo dovuto seppellire il chiaro di luna e riprenderci la vita come poesia. Ovvero avremmo dovuto dare un senso all’inquieto vivere, in quest'epoca dei camminamenti militarizzati, un'estetica al senso degli orizzonti.
D'Annunzio, il ribelle, non ha mai trasgredito il duello tra ragione e tragicità della fede. D’Annunzio non recita il tentativo di verità. E’ la verità della parola nell’estetica delle passioni che segnano il tempo delle inquisizioni superate con l’amore.
Dante è l’inquisitore sul quale l’Occidente ha costruito una sua anima.
Non mi interessa, in questo mio viaggio, la poetica del Dante in Commedia. Mi interessa cosa abbia portato a quella cultura dell’Occidente di cui oggi si serve della vendetta per primeggiare.
Il mondo islamico trova nel silenzio dei sufi la contemplazione. Il mondo buddista ha l’orizzonte delle illuminazione. Dante si incattivisce sui mali e giudica sul bene. Ma non è più pensabile che questo nostro tempo possa strutturarsi su una storicità che rischia di diventare teologia del giudizio. La letteratura non è teologia e tanto meno ha bisogno di giudizi ma di mistero. 
C’è una responsabilità precisa nella Commedia divina che è quella  dello scontro tra l’esiliato e Bonifacio e tra l’angelicata Beatrice e  la paura del giudizio cattolico.
Non si tratta di dolce stil novo. Il nuovo di uno stile dolce o la dolcezza della novità. Beatrice resta una meteora nell’illusione e Foscolo aveva ben capito che in Dante non c’è alcuna rivoluzione ma è l’esempio del conformismo e del compromesso. Alfieri è lo spadaccino per amore e per vizio. Eleonora è la passione di Gabriele.
Ma in questo tempo di tragico scavo ambiguo solo Fiammetta è la rivoluzionaria popolare che innova e Boccaccio vuole capire fino in fondo perché Dante occupa lo scenario. Perché ciò che trionfa è l’ipocrisia e l’ambiguità sino al Pascoli delle dissolvenze. Poi i Futuristi spezzeranno le corde.
Dante propone una bussola ma è una bussola che va controvento e poi accetta i compromessi, perdendosi tra ribelli e ribellanti, e se si continua a vivere di commedie il divino perderà il suo mistero.

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