Che ora è ?

venerdì 13 giugno 2008

Caos calmo


La panchina di Veronesi è metafora di pratica politica.

Cari uomini, e soprattutto cari uomini della sinistra, fermatevi, prendetevi una lunga pausa per riflettere, per interrogarvi sull’ultima sconfitta e su come governare il mondo.

Sedetevi su una panchina. Con una donna. Ascoltate ciò che lei ha da dirvi. Mettete da parte il vostro orgoglio e con umiltà riconoscete che non aver voluto darle fiducia, non aver riconosciuto forza al suo pensiero differente dal vostro, è stato un errore clamoroso. La vostra sordità e cecità nell’assumervi il mondo da soli è stata una presunzione, una vanità imperdonabile.

La panchina è metafora del tempo lungo, dello spazio da condividere in due, della distanza tra sé e il mondo.

Siete stati poco su quella panchina, e per di più da soli. Avete preferito sollevarvi e governare grandezze aggregate: crescita del pil, controllo del deficit, riduzione del debito pubblico. Governare dalla panchina avrebbe prodotto risultati visibili, percepibili dai cittadini. Governare il piccolo per modificare il grande. Distanziare e avvicinare lo sguardo per leggere e governare micro e macro grandezze.

La panchina come luogo della riflessione ma anche di accoglienza, di cura delle relazioni, di attenzione per l’altro, di ascolto.

Il riflettere e ragionare insieme (lei e lui) hanno bisogno di tempi lunghi. Risolvere le crisi nell’ottica del tutto e subito non soltanto non è efficace, ma crea altri problemi, altre crisi, altre emergenze. L’elaborazione del lutto non può essere compressa nello scorrere delle lancette dell’orologio né programmata sulla sveglia delle elezioni.

Pietro Paladini, sedendosi sulla panchina di un giardinetto, all’inizio appariva agli occhi degli altri un matto. Pensare di elaborare la morte della moglie fermando il mondo e abbandonandosi su una panchina pareva una stravaganza da commiserare. Ma poi, ad uno ad uno, su quella panchina si sono seduti amici, parenti, colleghi di lavoro, tutti impegnati a raccontare le proprie angosce quotidiane, le proprie solitarie esistenze. Hanno colto la forza della pausa in contrapposizione alla debolezza della velocità della corsa contro il tempo.

Voi uomini della sinistra ignorate da troppo tempo la panchina all’aperto. Avete preferito luoghi chiusi, inaccessibili ad altri sguardi. Luoghi belli, s’intende, più trendy delle vecchie sezioni di partito. Loft, addirittura. Un’operazione di restyling, insomma. Avete scelto voi le poche donne e i molti uomini graditi ospiti, lasciando all’aria dello spazio aperto troppe intelligenze. Non fraintendete però ancora una volta. Siamo offese non per il mancato invito al banchetto ma perché non vi siete seduti con noi sulla panchina. Non vogliamo una fetta di potere.

Che lui venga da lei e le chieda come affrontare e risolvere i problemi prima che questi diventino emergenze.

Le emergenze interrogano. Quella sui rifiuti su nuove forme di consumo, quella sul petrolio su nuove fonti di energia, quella sulla xenofobia su nuove regole dell’immigrazione.

Speravo che quella sulla sicurezza interrogasse sull’aggressività maschile. E che quella sull’aggressività maschile portasse alla sessualità maschile. Ma non succede mai. Quel passo più lungo non arriva. Interpellati sull’ennesimo episodio di violenza, ne prendete le distanze. Qualcuno arriva vicinissimo alla questione ma si ferma ad un passo dal baratro. E con un elegante volteggio si mette il punto e si va a capo. Come sempre. Le emergenze sono la punta di diamante di problemi che esplodono. E se un problema è esploso è perché è mancata una lettura differente del problema. Non si tratta di chiaroveggenza ma della capacità di comprendere e prevedere le conseguenze delle proprie azioni e i suoi effetti collaterali.

Siete arrivati – voi uomini della sinistra - a proporre braccialetti antistupro senza prima interpellarci, senza chiederci se era questo il nostro modo di risolvere la barbarie quotidiana della violenza sui nostri corpi. Avete pensato – voi uomini della destra - di risolvere l’emergenza criminalità ricacciando gli immigrati nelle loro terre d’origine, confiscando le badanti, le donne che possono assicurare l’assistenza dei vostri anziani e la prosecuzione dei vostri commerci sociali. Una visione servile del lavoro camuffata da sanatoria. Il prezzo più alto di questa operazione di pulizia l’hanno pagato le madri, costrette, coi loro bimbi in braccio, a sgomberare campi sottratti ai nostri sguardi e ai nostri sensi di colpa. Siete abili nel decentrare gli sguardi, a far vedere ciò che voi desiderate venga visto e percepito come problema, aiutati da un’informazione televisiva allarmistica e faziosa che alimenta insicurezza e disorienta.

Le donne chiedono di più. Chiedono a voi uomini di andare ancora più in là e cominciare ad interrogarvi sulla questione maschile e quindi sulla vostra sessualità. Se ne parla poco e parzialmente. Ci si occupa quasi esclusivamente di disfunzioni erettili e di rimedi, molto abusati, contro l’impotentia coeundi. Ma che dire delle altre forme di impotenza? Quella ad insegnare ai propri figli maschi che la giovane donna non è terra di conquista, che la madre dei propri figli non va umiliata o picchiata, che la sorella non va difesa ma rispettata nelle sue scelte di vita anche se non s’incrociano con quelle dei fratelli maschi. Che la donna è libera di realizzare i propri desideri. E che nome dare all’aumento della domanda di prostituzione e di cybersesso, alla violenza negli stadi, al bullismo nelle scuole, al mobbing nei luoghi di lavoro, alla guida a folle velocità dell’auto? La facile etichetta della crisi dei valori non basta a spiegare tutto questo. La violenza non può continuare ad essere letta, interpretata, agita soltanto in termini di sicurezza. Perseverare nell’analisi dei mezzi per proteggere la vittima anziché denudare il carnefice è sbagliato e pericoloso. Bisogna spingersi più in là e far cadere gli pseudonimi culturali di questi danni, chiamandoli con il nome vero: questione maschile.

Fa paura pronunciarlo ed assumerlo. Ma come non vedere che la fine del patriarcato ha provocato uno spaesamento tra voi uomini che v’interroga su una nuova capacità di riflessione, di autocoscienza, d’un nuovo modo di relazionarsi con i vostri simili, con le donne, con la politica?

In Caos calmo è stato l’amore di una figlia a far suonare la sveglia, ad annunciare che era arrivata l’ora di alzarsi e di agire, di assumersi il mondo. Il padre l’ha fatto. Si è fidato di lei e ha abbandonato la panchina. Ha capito che le parole di quella piccola donna erano dettate dalla saggezza, dall’amore, da uno sguardo sul mondo che sa il quando e il come. Fidarsi di lei è stato per Pietro la salvezza.

Nicoletta Salvemini

1 commento:

  1. Abbiamo superato ogni limite, il limite della decenza mentale che e' il piu'importante.

    Il padre ha seguito l'esempio della figlia?
    E quante volte la madre ha seguito l'esempio del figlio?

    Non mi meraviglio della mediocrita' della nostra societa':
    questi articoli lo testimoniano a dovere.

    RispondiElimina

blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis

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