Che ora è ?

venerdì 10 febbraio 2012

Piazza Regina Margherita


C’era una volta una piazza dove “la gente incontrava la gente” approfittando del”mercato delle braccia”, dove i bambini giocavano a pallone con una sfera di stracci  e, attorno ai marciapiedi, coi  tappini della birra:  la cosa strana era che quei fanciulli,con la loro indigenza atavica post bellica, erano felici. A scandire l’attività umana di questa comunità prevalentemente agricola, al di sopra della piazza, una torre ed un orologio, con le sue belle due campane, dono alla cittadina di  Grottaglie del re Ferdinando di Borbone.

Attorno alla imponente e suggestiva Chiesa Matrice, dedicata alla SS.Annunziata e caratterizzata da un meraviglioso rosone romanico e da un portale affascinante,sotto il quale si stende una scalinata a cielo aperto, sorgevano le sedi delle numerose congreghe religiose che fino agli anni ‘50 del secolo scorso,erano fondamentali  per la popolazione  che  ci viveva:come non ricordare una antichissima taverna del ‘600  trasformata in Oratorio accanto all’edificio  del Purgatorio e, trasversalmente ad esso, la congrega del Nome di Gesù.
Ciascuna di esse aveva le sue tradizioni, i suoi canti, i suoi fedeli, a ricordo delle vecchie contrade rinascimenta e medioevali che brillarono, oltre che per magnificenza, anche per rivalità. Non dimentichiamo che Grottaglie indossava la duplice veste di “mensa”arcivescovile e di feudalità laica.
Diretta emanazione dell’ γορά  greca e del forum romano, la piazza era un mirabile esempio di funzionalità e razionalità, istituzione cittadina dotata di forza centripeta, centro del paese sia dal punto di vista economico/commerciale che di quello   religioso oltrechè politico.
Ecco che, come per incanto, sfilano davanti agli occhi vecchi fantasmi del passato che si credevano dimenticati: il Bar Impero (denominazione significativa ed identificativa degli “anni ruggenti” fascisti),  il Bar Centrale di “Tommasino”, presso il quale si gustava la migliore cassata gelato e si giocava a biliardo in un antro fumoso,   l’albergo al primo piano, con i tre balconi di spagnolesca memoria e le loro ringhiere in ferro,  il tabacchino angolare di “Nunzio” presso il quale si andava a comprare  il sale e il chinino,  “Pippinu tla neve” che vendeva ghiaccio incartandolo con la paglia, il Ristorante, “Guglielmo” e i suoi gelati  di 5,10 e 20 lire, ”li mammucci neri” di Daniele, omini di liquirizia che costavano 1 lira cadauno,  Licia, la fruttivendola,  Mena, la sorella di Licia, che gestiva una cantina ai primi passi della salita di Via San Francesco De Geronimo, “il Greco”,con la sua rivendita di giornale e giornaletti: il Corriere dei piccoli, capitan Miki, il grande Blek, Akim, Nembo Kid, (odierno Superman), l’Intrepido, Grand Hotel, la Tribuna Illustrata.
Qualche parola  per Barbalucca, anche egli giornalaio, aristocratico e gentile  d’aspetto e di modi, che amava gli animali e la cui moglie, ogni giorno, come in un sacro rituale, elargiva mangime ai colombi che stazionavano nel “Portone del Principe”.
Non ultimo, l’alimentare del  ”poptu”, il leccese, che vendeva odorosi  salumi e nella cui vetrina, all’angolo della piazza, faceva bella mostra  sempre il baccalà a bagno.
E poi le  botteghe dei barbieri,che durante le feste regalavano gli ambitissimi calendari profumati con foto di donnine ed attrici in abiti, per l’epoca, discinte e mostranti le loro grazie: i ragazzi, e non solo loro, intascavano tali omaggi per  goderseli nel privato.
E la “Trattoria dell’aviere” dove un rubicondo proprietario pubblicizzava il ”si spende poco e si mangia bene”.
Personaggi diafani ed evanescenti che hanno caratterizzato un’epoca! Fantasmi di un mondo che è  stato così brillante, ciarliero e comunicativo!
In estate una autobotte del comune innaffiava le strade: e quei bambini, dai piedi scalzi e vestiti solo di indigenza e sogni, immergevano i loro piedi nelle pozzanghere, suscitando l’invidia di chi le scarpe, magari non poteva permettersele.
Il terzo aspetto (religioso,economico) di questa piazza autosufficiente, prodotto, anche, dell’economia curtense, era quello politico: ed allora, al vecchio palazzotto del principe Cicinelli si era aggiunta la Casa comunale, il Comando Vigili Urbani e l’Ufficio delle Poste e Telegrafi.
In un angolo della piazzetta attigua, Piazza Municipio, con la sua piccola fontana centrale, la cabina telefonica, con le sue spine e spinotti che suscitavano l’attenzione e la curiosità dei ragazzi.
Insomma,  non una semplice piazza, ma un macro/microcosmo, quasi uno scenario sul quale si svolgeva l’attività della collettività, uno “speculum” sincero ed affidabile delle emozioni del cittadino, un posto in cui  sostare per essere riscaldati dai caldi raggi del sole, un luogo dove si incontrava la cultura e la storia, un luogo dove le emozioni singole potevano tramutarsi in manifestazioni collettive dell’orgoglio comunale.
Poi alla fine degli anni 50’ il cieco vento del modernismo, figlio del boom economico post bellico, soffiò anche su Grottaglie e questa aria nuova distrusse un’intera ala della piazza, la più bella e significativa dopo la Cattedrale, innestando al posto della torre dell’orologio, una “moderna” costruzione per la Pretura. E quella architettura che era passata indenne dai Borbone ai Savoia, ai Podestà,  cadde sotto i colpi del novelli …”Barberini”.
Mai corpo architettonico fu più avulso e staccato dal contesto culturale e storico: ma, ciò  avvenne, purtroppo,  inutile piangerci sopra, e dopo tanti anni, lo si registra come  pura cronaca, lasciando ai più anziani una commistione di ricordi e tristezza.
E oggi, nel XXI secolo?
La piazza ha perso la sua funzione, sostituita da varie  γορά telematiche”, infarcite di motivazioni sociali immaginative che favoriscono l’anonimato e lo pseudo scambio di interessi e motivazioni.
E’ ancora un luogo che rimanda a eventi, processi, strutture, idee, sentimenti, di un passato che non passa, si sedimenta, per poi essere letto da angolature, attraverso filtri e con finalità differenti?
Il solito “tempo galantuomo” dara’ la sua risposta.
Nell’attesa, consoliamoci con le parole di “Piazza Grande” di Lucio Dalla , con il quale condividiamo alcuni sentimenti:
Lenzuola bianche per coprirci non ne ho
sotto le stelle in Piazza Grande,
e se la vita non ha sogni io li ho e te li do.

E se non ci sarà più gente come me
voglio morire in Piazza Grande,
tra i gatti che non han padrone 
come me attorno a me

3 commenti:

  1. sono nata nel centro storico 66 anni fa, questo articolo e'un acquerello che mi riporta indietro nel tempo. Bellissimo, non avevo dubbi sul prof.Elio Francescone che conosco: e' un genio delle parole e della cultura.

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  2. mentre leggevo commosso al ricordo della nostra piazza
    ricordo le prime macchine a noleggio dove prelevavo i documenti portandomeli a casa mia ....dopo alcune ore
    venivano a prenderli sapendo già da chi erano stati prelevati..in quel periodo lavoravo dal barbiere Antonio Nisi guadagnando 100 lire la settimana.in monetine da 5 - 10 lire raccolte nella cassettina di legno spazzolando i clienti alla fine del servizio....con mio nonno Vincenzo di scarnaccia sagrestano alla chiesa Matrice suonavo le campane nelle feste comandate..
    guadagnando 10 lire...portavo la croce nei funerali vestito da chirichetto guadagnavo 20 lire poi la sera prima di rientrare a casa passavo alla cantina da Mena
    a prendere mio nonno un pò brillo per ritirarci a casa dove al solito mia nonna Lucia Santoro ci sgridava prima di cena......potrei scrivere un libro di tutta la mia splendida infanzia..ma non sono preparato come il mio
    grande amico prof. Elio che ringrazio sempre....

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  3. Grazie per il commento che testimonia un'aria ed atmosfera ormai persa, forse , per sempre. Grazie, amico mio...

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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis

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Pierpaolo Pasolini
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ammazzato nel novembre del 1975

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