A molti
“benpensanti” potranno apparire inutili, sciocchi e “puerili” i giochi di una
volta ma, chissà, se forse un giorno lontano non torneranno di moda. E già,
perché i giochi “dimenticati” facevano giocare e divertire con poco,
permettevano di muoversi, di stare all’aria aperta, di socializzare, di ridere,
di piangere, di rincorrere, di saltare, di costruire, di creare;chi si
divertiva a costruire un monopattino(qualcuno/a lo ricorda assieme a “lu carruzzone”?), chi correva dietro ad un
vecchio cerchio di bicicletta, chi saltellava con una corda elastica, chi
lanciava una ”trottola”, chi contava e chi si nascondeva.Erano tanti i modi per
stare in compagnia ,emozionarsi ed avere il sorriso sulle labbra. Ora, per le
vie dei paesi che un tempo si trasformavano in “palcoscenici di giochi”, non si
sentono più risate di gioia per una vittoria, né pianti per aver sentito la
sconfitta nelle competizioni e, cosa ancor piu’ triste e greve,non si e’
nemmeno soddisfatti e sazi nonostante l’opulenza di questo nostro mondo
occidentale.
Il gioco è sicuramente l’espressione più autentica e
spontanea dell’infanzia, è attraverso l’attività ludica che si possono
intravedere tendenze ed inclinazioni del bambino. Dice il Pitrè “Il fanciullo è
un piccolo uomo e noi, fanciulli di una volta, possiamo, nei suoi atti
scomposti e meccanici d’oggi vedere o prevedere i suoi atti relazionali di
domani come nel breve, ahi! troppo breve! periodo della sua età spensierata,
studiare quelli men brevi dell’agitata adolescenza e della non lieta maturità”.I bambini possiedono l’istinto del gioco e questa
attitudine emerge già in tenera età. Il gioco è una delle componenti principali
nella formazione psico-fisica dell’individuo; è occasione di socializzazione e
di apprendimento; è formazione ed educazione; il gioco stimola l’inventiva, la
curiosità, l’ingegno, la manualità, la creatività; esso abitua alla
competizione, alla riflessione, al rispetto delle regole; attraverso il gioco
si potenziano abilità fisiche e motorie, contribuisce a formare la mente;
rappresenta, inoltre, un vero e proprio allenamento che il bambino compie
inconsapevolmente per avvicinarsi ed adattarsi alla società degli adultiI
giochi, secondo Lhotzky, sono la parte più seria della vita del bambino, sono
il lavoro più grave che egli compie. Il gioco, come trasposizione del lavoro,
dove il bambino impegna tutte le sue abilità e la sua creatività; per riuscire
nel gioco dà il massimo di sé, proprio come fa l’adulto nelle attività
lavorative.Qualche esempio di gioco di una volta… nei miei ricordi:
La campana: La ricordo in via Archita,
tracciata sulla terra rossa (la via all’epoca non era asfaltata) con le galline
che ci passavano sopra e chi giocava a cacciarle…Era piu’ che altro un gioco
femminile. Serviva molto poco: si tracciava per terra, col gesso o con del carbone
o con una pietra, una figura simile ad una campana suddividendola in dieci
parti;quindi venivano disegnate delle righe orizzontali distanti tra loro circa
mezzo metro e dopo veniva tracciata una croce che divideva la parte centrale in
quattro triangoli, seguiva poi la campanella costituita da una fascia
orizzontale ed infine la campana, una specie di cupola che, essendo l’ultima
parte, costituiva la meta finale del gioco che si svolgeva in questo modo:la
giocatrice gettava una piccola pietra appiattita davanti alla casella nr. 1 cercando di non
farla uscire fuori dai lati che la delimitavano. Saltellava, con il piede
destro (mentre il sinistro restava sollevato) nella casella nr 1, prendeva con
la mano la pietra e la tratteneva finchè,non giungeva alla casella nr 6 dove
poteva fermarsi e riprendere a saltellare fino alla decima casella.La stessa
giocatrice lanciava poi la pietra nella casella nr.2 e ricominciava il giro;
questo si protraeva fino alla casella nr 6 verso la quale, la pietra la si
lanciava in diagonale stando vicino all’angolo della casella nr.1; ovviamente
duranteil gioco, la giocatrice non poteva, in nessun modo poggiare per terra
l’altro piede né “invadere” altre caselle.Terminato il “saltellare” delle dieci
caselle cominciava il saltellio a zig zag, cioè dalla casella nr.1 si andava
alla 9, poi alla 3, poi alla 7 ed infine alla nr.5 per ritornare poi al punto
di partenza saltellando nelle caselle con numeri pari.La giocatrice, che fino a
quel punto non aveva commesso errori, con gli occhi bendati, ricominciava il
gioco delle caselle dalla nr.1 fino alla nr.10; ogni volta che la giocatrice
poggiava i piedi in una casella diceva “amen?” per chiedere alle altre
partecipanti al gioco se avesse invaso le altre caselle in caso positivo
rispondevano “salamen”,nel caso di invasione di altre caselle rispondevano “ sasizza”;in
questo caso il gioco finiva e ricominciava a giocare una nuova
concorrente.Vinceva chi, senza commettere infrazioni, riusciva a completare il
gioco in tutte le dieci caselle della campana.
lu tticchiti: Era un pezzetto di legno chiamato lu tticchiti,(
voce onomatopeica) appuntito da ambo le parti. Il legnetto lo si ricavava,
generalmente, da un ramo verde e tutti i
ragazzi ne avevano uno personale che portavano sempre in tasca. Dopo aver
individuato il luogo più atto, i ragazzi facevano un cerchio per terra, la
cicla, e dopo il famoso tuèccu si decideva chi iniziava a giocare.
Il primo giocatore tenendo bene in mano la tavoletta, dava un colpo sulla
punta tlu tticchiti che si sollevava da terra. Il modo di giocare più comune era quello di lanciare lu
tticchiti quanto più lontano possibile dal cerchio.
Lu curruculu : La trottola, più comunemente chiamata curruculu era un
giocattolo di legno a forma di cono alla cui estremità inferiore c’era una
punta di ferro.Per farlo girare occorreva una funicella che veniva avvolta
intorno al giocattolo partendo dalla punta e arrivando verso l’alto. La
trottola veniva lanciava imprimendogli un movimento che le permetteva di farla
girare su se stessa. Le modalità di gioco erano diverse ma la più comune consisteva
nel disegnare un cerchio sulla terra battuta nel quale venivano poste delle
caramelle o della frutta secca; lanciando la trottola in roteazione all’interno
del cerchio, chi riusciva a far uscire il maggior numero di dolciumi
all’esterno poteva gustarsi gli stessi come premio.
Ghiummu :Esso si
svolge nel modo seguente:
Si faceva innanzi tutto la conta per stabilire chi dovesse stare “sotto”. Chi
veniva designato dalla “conta”, posizionandosi nel mezzo della strada, si
piegava mettendo le mani sopra le ginocchia. Tutti gli altri saltavano a turno,
appoggiando le mani sulla schiena del compagno.
Il pettine sonoro: Bastava
avvolgere della carta velina intorno ad un pettine e fermarla con un elastico
per costruire un rudimentale organetto il quale veniva accostato alle labbra e
ci si soffiava con forza;le vibrazioni della carta velina sui dentini del
pettine provocavano una specie di pernacchia modulata che costituiva una
insolita musica che permetteva di accompagnare “la voglia di cantare” dei
fanciulli.
Scasciapignate:Usando una
corda tesa tra i due lati della strada, vi si appendevano alcune pignate di coperchio
nelle quali venivano nascosti dei regali, ma anche, in alcune, acqua sporca o
farina.I partecipanti al gioco facevano la conta ed il sorteggio: il prescelto
dalla sorte veniva bendato, fatto girare 3-4 volte su se stesso, in modo da
fargli perdere l’orientamento, e con un grosso bastone aveva diritto a sferrare
uno o due colpi per cercare di colpire qualche pignata appesa. Se
riusciva a romperne una, aveva il diritto di impossessarsi di quanto in essa
contenuto (frutta secca), e nello stesso modo era costretto a “sopportare”
l’eventuale liquido che, al rompersi della pignata, lo avrebbe
inondatoTra il sogno e la fantasia ricordo una tale “giocata” in via
Mastropaolo 63,ove abitava mia zia Marietta.
Le palline : Si
produceva una buca per terra e i giocatori da una distanza convenuta, dopo aver
tirato a sorte, dovevano far entrare una biglia nella piccola fossetta. Chi riusciva
a farlo comandava il gioco. Questi, facendo centro dalla buca, allungando i
palmi delle mani e tenendo la biglia nella mano destra tra il medio e il
pollice, spingendo come un piccolo stantuffo, doveva cercare di colpire la
biglia avversaria e allontanarla della buca; se ci riusciva vinceva la biglia
colpita. Il gioco continuava in questo modo, fino all’esaurimento delle biglie
da parte di qualche concorrente, oppure fino allo sfinimento dei giocatori.
C’era un vero e proprio giro d’affari; si compravano e si cedevano biglie,
quelle più grosse avevano un valore più elevato, insieme a quelle
multicolorate.
Battiparete : Si
stabiliva la posta, tirato a sorte, il primo batteva con la moneta al
muro e doveva cercare di farla allontanare quanto più possibile, il secondo
batteva al muro e doveva tentare di avvicinarsi alla moneta del primo che stava
a terra di quel tanto che bastava per poter essere ‘vinta’: se cioè la seconda
moneta cadeva alla distanza del palmo della mano del battitore, questi vinceva
la moneta in gioco. E così via. L’abilità consisteva ad allontanare la
moneta quanto più possibile, e al proprio turno, calcolare quanta energia
bisognava imprimere alla mano per cercare che la propria moneta si ponesse alla
distanza inferiore del proprio palmo della mano, per poter vincere.
Spaccachianche: I
bambini lanciavano in aria, a turno, i soldi di metallo. Ogni giocatore cercava
di far andare i soldi il più vicino possibile alla fessura della "pietra
piatta"; colui che si avvicinava di più, vinceva e si prendeva tutti i
soldi.
Lu scaffu : Per il gioco dello
schiaffo si mettevano tanti bambini insieme e tiravano a tocco; finchè un
bambino veniva scelto per mettersi sotto. Si metteva in mezzo con una
mano aperta sotto il mento. Un compagno gli dava un sonoro schiaffone e tutti
alzavano la mano con il dito in aria e doveva indovinare chi fosse stato. Se
non indovinava, restava ancora in mezzo e prendeva schiaffi finchè non avrebbe
indovinato chi fosse. Una volta indovinato, usciva e si metteva sotto il
bambino che aveva tirato lo schiaffo.
Scunnicoa :Un
gruppo di ragazzi, tirato a sorte, cominciava il gioco. Il sorteggiato doveva
cercare di raggiungere l’altro che si dava a correre, ma era un correre non
rettilineo, in modo da ingannare la traiettoria di chi rincorreva, se però si
era raggiunti e toccati, la corsa del primo giocatore terminava e bisognava
bloccarsi; si doveva attendere l’eventuale “liberazione” da parte di un altro
compagno se riusciva ad eludere la rincorsa e la sorveglianza dell’incaricato a
bloccare tutti. Il gioco terminava se tutti erano stati toccati dal sorteggiato
decretando la sua vittoria.
Non esisteva nessun disturbo dall’esterno, niente TV, niente
computer, scarsissima produzione industriale di giocattoli con, in compenso, una
solida presenza di rapporti interpersonali e di socializzazione. Era
considerato importante lo stare insieme, anche i momenti di lavoro si
trasformavano in occasione di socializzazione. La persona allora era al centro
della società e il gioco era di tipo collettivo-creativo e ad alto contenuto
sociale. I bambini di oggi non sanno più cosa voglia dire avere un cielo
azzurro sulla testa, schiacciati dalla loro passività di soggetti cresciuti
davanti alla TV, con gli occhi abituati
ad incamerare sempre più immagini e a produrre sempre meno parole. Ieri il
bambino non aveva bisogno dell’adulto, della guida:essi erano indipendenti ed
autonomi nel gioco prima e nella vita, poi; oggi non sono abituati a scegliere,
c’è sempre qualcuno che provvede ad indirizzarli verso qualcosa e quando non
c’è l’adulto c’è bisogno del computer o di altro. L’oggetto giocattolo è il
nulla e dietro di esso si aggrovigliano il vuoto delle relazioni umane e
l’assenza della fantasia, della creatività e dell’inventiva; in questo modo il
gioco, inteso come tempo della piena libertà infantile, viene spogliato di
spazi ampi e differenziati e mutilato dei propri segni educativi quali il
movimento, la comunicazione, la fantasia, l’avventura, la costruzione, la
socializzazione. Il bambino, spesso, non sceglie in base alle sue esigenze ma
viene trascinato in forme di divertimento imposte, create artificialmente,
prefabbricate. Bambini che stanno insieme fisicamente ma che non socializzano
affatto, tra loro non si creano rapporti interpersonali ma soltanto muri di
isolamento e solitudine.Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Non lamentiamoci, abbiamo creato noi questa
societa’!
N.B. Indulgete a questi ricordi, soprattutto se ho tralasciato e/o sbagliato qualcosa.
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