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giovedì 28 marzo 2013

…sulla croce sbianco’ come un giglio…




Cristo ed il Cristianesimo : l’unica e grande rivoluzione, quella che dà senso alla vita umana e traccia le strade della civiltà.La medesima finitezza  ed imperfezione umana lo richiedono. E’ storia, e’ la Storia. “Cristo, mia speranza, è risorto e vi precede in Galilea”. E' con queste parole che viene dato l'annuncio pasquale. La sequenza, che ripercorre i grandi temi del triduo pasquale, si conclude con un annuncio di speranza che è, insieme, richiamo alla responsabilità ed elezione per una missione. E' interessante notare che nei racconti dei Sinottici l'annuncio della risurrezione è dato da un angelo. Il significato teologico sottostante è chiaro: il mistero della risurrezione è tale che può essere rivelato solo da Dio e l’angelo e’ l’inviato di Dio.. Ancora una volta, fino alla fine, il credente è posto all'ombra del primato della Parola di Dio che indica non solo il fatto, ma anche la strada adeguata per poterlo raggiungere.
Mai nella storia dell'umanità vi fu annuncio più sconvolgente di quello che è preludio del mattino di Pasqua. Cristo è veramente risorto. L'identità tra il crocifisso e il risorto è il centro del kerigma apostolico (dal greco : κηρύσσω , che letteralmente significa: gridare o proclamare) e noi, da duemila anni, percorriamo le strade di questo mondo ripetendo in modo immutato lo stesso, identico, annuncio. Qui si scontrano le diverse concezioni della vita umana; qui devono convergere le differenti visioni religiose che esprimono il mistero; qui si risolve l'originalità della fede cristiana. Fuori da questo orizzonte Gesù di Nazareth sarebbe un grande evento della storia con un forte messaggio sapienziale, ma niente di più; lontano da questo scenario, la Chiesa sarebbe una grande società - per alcuni versi, forse, anche perfetta - ma non potrebbe più qualificarsi “sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano” (LG 1). La speranza che Pasqua esprime ha nulla in comune con l'utopia e niente da spartire con il mito.

Per la prima volta viene posto nella storia dell'umanità il criterio che abilita ognuno ad uscire dalle tenebre della disperazione e della morte per entrare nel sereno della speranza e della vita. Essendo certezza del compimento della promessa, la speranza cristiana “non delude” perché affonda le sue radici nell'amore (Rm 5,5); e non potrà mai essere separata dall'amore: “Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,35-39). Uno sguardo più attento a questo testo, permetterà di comprendere ulteriormente le caratteristiche della speranza cristiana che Paolo descrive nonostante non appaia esplicitamente il termine. Alcuni versetti prima, l'apostolo aveva detto che per coloro che vivono della fede e della speranza la condizione di sofferenza del presente, pur con tutte le tribolazioni e malvagità, non è paragonabile alla gloria che sarà loro concessa. Questa gloria, non è altro che la rivelazione del Figlio di Dio, la conoscenza del suo volto o, se si vuole, la rivelazione piena del mistero che rapirà in una contemplazione senza fine. Il futuro che attende coloro che oggi sperano e credono, non solo compenserà il presente ma, soprattutto, lo supererà nell'intensità della felicità. Qui, però, sorge la domanda che accompagna ancora oggi molti di noi: chi potrà garantire tutto questo? Chi mai potrà dare garanzia del compimento di questa attesa e della soddisfazione di questa speranza? L'apostolo, per rispondere, introduce il concetto di libertà. Non si dimentichi, che la speranza oggi, per molti che non credono, potrebbe essere il nuovo nome della fede e, in ogni caso, una speranza vera non è altro che un cammino verso la professione della fede. 
Mi fa compiere questa considerazione il romanzo postumo di I.Silone, l'uomo che fino alla fine ha voluto esprimere la sua ricerca di Dio senza poter arrivare a professare la fede ecclesiale. Nel suo ultimo romanzo autobiografico, Severina, narra di una suora che in preda ad una crisi di fede lascia il convento. La sua vita è una continua ricerca di Dio; questi, però, poco alla volta diventa solo un'idea e non le dice più nulla. Severina partecipa a diverse attività, si mostra utile agli altri e un giorno, intervenendo a una manifestazione, per sbaglio viene colpita a morte. E' portata in ospedale. Al suo capezzale accorre immediatamente una consorella di un tempo, presa dalla preoccupazione di farle professare la fede. A Severina ormai morente, la suora chiede con insistenza:“Severina, Severina, credi?” E Severina rivolgendole lo sguardo risponde: “No, però, spero”. Ecco il dramma della nostra epoca…Il Cristianesimo spezza i cicli della mentalità pagana, caccia il fato e con esso l’idea dell’ineluttabilità della distruzione delle civiltà e affida alla responsabilità dell’uomo il proprio avvenire, oltre a rassicurarlo con la presenza costante della provvidenza. Il Cristianesimo dà un senso e una meta alla vita terrena.
Scrive Gianni Vattimo: “ Ciò che il cristianesimo ha da offrire al mondo, oggi, è la proposta della carità. Dio che non ci chiama più servi, ma amici. Non chiede più sacrifici, perché Gesù, come spiega René Girard, è venuto proprio per svelare l'impostura dell'idea sacrificale della religione, per la quale essa è sempre stata un affare di violenza. Il cristianesimo che io, come molti altri oggi, professo è religione di carità, e lo è divenuto non scoprendo la propria verità assoluta, ma secolarizzando se stesso sull'esempio di Cristo che si è lasciato crocifiggere. Ciò che san Paolo chiama kénosis, l'abbassamento di Dio, la sua desacralizzazione, è il senso del cristianesimo così come oggi si può e si deve pensare”.
Aveva ragione Indro Montanelli, quando con la sua solita grinta, affermava che Gesù Cristo è stato il più grande rivoluzionario mai esistito, al suo confronto la rivoluzione francese e quella russa fanno ridere, perchè hanno solo scalfito l'epidermide dell'uomo, mentre Cristo ha scavato profondamente nel suo subconscio, obbligandolo a scegliere tra il bene ed il male. 

E De Andre’?

…Venuto da molto lontano
A convertire bestie e gente
Non si può dire non sia servito a niente
Perche’prese la terra per mano
Vestito di sabbia e di bianco
Alcuni lo dissero santo
Per altri ebbe meno virtù
Si faceva chiamare Gesu’
E mori’come tutti si muore
Come tutti cambiando colore
Non si puòdire che sia servito a molto
Perche’il male dalla terra non fu tolto
Ebbe forse un po' troppe virtù
Ebbe un volto ed un nome Gesù
Di Maria dicono fosse il figlio
Sulla croce sbianco come un giglio…
Il Gesu’rivoluzionario di De Andre’non e’diverso dal Gesu’dei vangeli canonici.Anzi, e’lo stesso che in Mt 20:25-27 dice: “Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano, e che i grandi usano potesta’sopra di esse. Ma non e’cosi’tra voi; anzi, chiunque vorra’esser grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque fra voi vorra’esser primo, sara’vostro servitore.” E credo che un Gesu’del genere sia piuttosto vicino ai sentimenti di molti anarchici. Permettetemi di chiudere con una frase bellissima (a mio parere) di André Malraux, La speranza, 1937:”A pensarci bene, Cristo è l'unico anarchico che ha avuto veramente successo”.


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