Cristo ed il Cristianesimo : l’unica e grande rivoluzione,
quella che dà senso alla vita umana e traccia le strade della civiltà.La
medesima finitezza ed imperfezione umana
lo richiedono. E’ storia, e’ la Storia. “Cristo, mia speranza, è risorto e vi
precede in Galilea”. E' con queste parole che viene dato l'annuncio pasquale.
La sequenza, che ripercorre i grandi temi del triduo pasquale, si conclude con
un annuncio di speranza che è, insieme, richiamo alla responsabilità ed
elezione per una missione. E' interessante notare che nei racconti dei
Sinottici l'annuncio della risurrezione è dato da un angelo. Il significato
teologico sottostante è chiaro: il mistero della risurrezione è tale che può
essere rivelato solo da Dio e l’angelo e’ l’inviato di Dio.. Ancora una volta,
fino alla fine, il credente è posto all'ombra del primato della Parola di Dio
che indica non solo il fatto, ma anche la strada adeguata per poterlo
raggiungere.
Mai nella storia dell'umanità vi fu annuncio più sconvolgente di
quello che è preludio del mattino di Pasqua. Cristo è veramente risorto.
L'identità tra il crocifisso e il risorto è il centro del
kerigma apostolico (dal
greco : κηρύσσω , che letteralmente significa:
gridare o proclamare) e noi, da duemila anni, percorriamo le strade di questo
mondo ripetendo in modo immutato lo stesso, identico, annuncio. Qui si
scontrano le diverse concezioni della vita umana; qui devono convergere le
differenti visioni religiose che esprimono il mistero; qui si risolve
l'originalità della fede cristiana. Fuori da questo orizzonte Gesù di Nazareth
sarebbe un grande evento della storia con un forte messaggio sapienziale, ma
niente di più; lontano da questo scenario, la Chiesa sarebbe una grande società
- per alcuni versi, forse, anche perfetta - ma non potrebbe più qualificarsi
“sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di
tutto il genere umano” (LG 1). La speranza che Pasqua esprime ha nulla in
comune con l'utopia e niente da spartire con il mito.
Per la prima volta viene
posto nella storia dell'umanità il criterio che abilita ognuno ad uscire dalle
tenebre della disperazione e della morte per entrare nel sereno della speranza
e della vita. Essendo certezza del compimento della promessa, la speranza
cristiana “non delude” perché affonda le sue radici nell'amore (Rm 5,5); e non
potrà mai essere separata dall'amore: “Chi ci separerà dunque dall'amore di
Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità,
il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per
virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita,
né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né
profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio in
Cristo Gesù nostro Signore” (Rm 8,35-39). Uno sguardo più attento a questo
testo, permetterà di comprendere ulteriormente le caratteristiche della
speranza cristiana che Paolo descrive nonostante non appaia esplicitamente il
termine. Alcuni versetti prima, l'apostolo aveva detto che per coloro che
vivono della fede e della speranza la condizione di sofferenza del presente,
pur con tutte le tribolazioni e malvagità, non è paragonabile alla gloria che
sarà loro concessa. Questa gloria, non è altro che la rivelazione del Figlio di
Dio, la conoscenza del suo volto o, se si vuole, la rivelazione piena del
mistero che rapirà in una contemplazione senza fine. Il futuro che attende
coloro che oggi sperano e credono, non solo compenserà il presente ma,
soprattutto, lo supererà nell'intensità della felicità. Qui, però, sorge la
domanda che accompagna ancora oggi molti di noi: chi potrà garantire tutto
questo? Chi mai potrà dare garanzia del compimento di questa attesa e della
soddisfazione di questa speranza? L'apostolo, per rispondere, introduce il
concetto di libertà. Non si dimentichi, che la speranza oggi, per molti che non
credono, potrebbe essere il nuovo nome della fede e, in ogni caso, una speranza
vera non è altro che un cammino verso la professione della fede.
Mi fa compiere
questa considerazione il romanzo postumo di I.Silone, l'uomo che fino alla fine
ha voluto esprimere la sua ricerca di Dio senza poter arrivare a professare la
fede ecclesiale. Nel suo ultimo romanzo autobiografico, Severina, narra
di una suora che in preda ad una crisi di fede lascia il convento. La sua vita
è una continua ricerca di Dio; questi, però, poco alla volta diventa solo
un'idea e non le dice più nulla. Severina partecipa a diverse attività, si
mostra utile agli altri e un giorno, intervenendo a una manifestazione, per
sbaglio viene colpita a morte. E' portata in ospedale. Al suo capezzale accorre
immediatamente una consorella di un tempo, presa dalla preoccupazione di farle
professare la fede. A Severina ormai morente, la suora chiede con
insistenza:“Severina, Severina, credi?” E Severina rivolgendole lo sguardo
risponde: “No, però, spero”. Ecco il dramma della nostra epoca…Il Cristianesimo
spezza i cicli della mentalità pagana, caccia il fato e con esso l’idea
dell’ineluttabilità della distruzione delle civiltà e affida alla
responsabilità dell’uomo il proprio avvenire, oltre a rassicurarlo con la
presenza costante della provvidenza. Il Cristianesimo dà un senso e una meta
alla vita terrena.
Scrive Gianni Vattimo: “ Ciò che il cristianesimo ha da offrire al mondo, oggi, è la proposta
della carità. Dio che non ci chiama più servi, ma amici. Non chiede più
sacrifici, perché Gesù, come spiega René Girard, è venuto proprio per svelare
l'impostura dell'idea sacrificale della religione, per la quale essa è sempre
stata un affare di violenza. Il cristianesimo che io, come molti altri oggi,
professo è religione di carità, e lo è divenuto non scoprendo la propria verità
assoluta, ma secolarizzando se stesso sull'esempio di Cristo che si è lasciato
crocifiggere. Ciò che san Paolo chiama kénosis, l'abbassamento di Dio, la sua
desacralizzazione, è il senso del cristianesimo così come oggi si può e si deve
pensare”.
Aveva ragione Indro
Montanelli, quando con la sua solita grinta, affermava che Gesù Cristo è stato
il più grande rivoluzionario mai esistito, al suo confronto la rivoluzione
francese e quella russa fanno ridere, perchè hanno solo scalfito l'epidermide
dell'uomo, mentre Cristo ha scavato profondamente nel suo subconscio,
obbligandolo a scegliere tra il bene ed il male.
E De Andre’?
…Venuto da molto
lontano
A convertire bestie e
gente
Non si può dire non
sia servito a niente
Perche’prese la terra
per mano
Vestito di sabbia e
di bianco
Alcuni lo dissero
santo
Per altri ebbe meno
virtù
Si faceva chiamare
Gesu’
E mori’come tutti si
muore
Come tutti cambiando
colore
Non si puòdire che
sia servito a molto
Perche’il male dalla
terra non fu tolto
Ebbe forse un po'
troppe virtù
Ebbe un volto ed un
nome Gesù
Di Maria dicono fosse
il figlio
Sulla croce sbianco come un giglio…
Il
Gesu’rivoluzionario di De Andre’non e’diverso dal Gesu’dei vangeli
canonici.Anzi, e’lo stesso che in Mt 20:25-27 dice: “Voi sapete che i principi
delle nazioni le signoreggiano, e che i grandi usano potesta’sopra di esse. Ma
non e’cosi’tra voi; anzi, chiunque vorra’esser grande fra voi, sarà vostro
servitore; e chiunque fra voi vorra’esser primo, sara’vostro servitore.” E
credo che un Gesu’del genere sia piuttosto vicino ai sentimenti di molti
anarchici. Permettetemi di chiudere con una frase bellissima (a mio parere) di André
Malraux, La speranza, 1937:”A pensarci bene,
Cristo è l'unico anarchico che ha avuto veramente successo”.
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