La carità, la povertà e i processi di un mondo legato al dubbio della spiritualità da una parte e ai costanti relativismi dall’altra. Tre aspetti che sono dentro la religiosità del Cristo. Di quel Cristo popolo che abbraccia le incertezze di tutti e ne fa il dono di una misericordia dentro i passi della fede. Il nuovo Papa è un segno tangibile non solo di una rottura di schemi nel mondo del Vaticano ma è soprattutto un linguaggio diverso che si affaccia nel registro del trono di Pietro e parla con il volto, lo sguardo, la speranza di una esperienza che va oltre la Chiesa gerarchia.
Ho avuto modo di conoscere il Cardinale Jorge Mario Bergoglio nei miei viaggi in Argentina e proprio in quella città di italiani, di europei, di spagnoli, di una America Latina che sa di essere occidentale ma sa anche di doversi confrontare con i Paesi di un Oriente che si impone con la sue religioni ma anche con le sue forme di cattolicesimo, Buenos Aires, il dialogo si è improntato su due aspetti fondamentali dentro la cultura moderna: la speranza e l’attesa.
Ora Francesco, il Papa Francesco, è nel solco di un carisma emblematico. Il Francesco d’Assisi, la povertà che si è fatta esistenza nella chiesa popolo e nella chiesa che si pone in ascolto anche fuori dalle retoriche delle liturgie. Ma nel Papa Francesco ci sono molti elementi, che emergono dalla sua parola, dai suoi scritti, da quel suo linguaggio che vuole restare silenzio per ascoltare, lo ricordo benissimo nella mia conferenza su Giovanni Paolo II e Jaocopo da Todi in una città religiosa, bella e assordante come è tutta l’Argentina del tango vissuto nell’anima, che riportano ad un altro Francesco: Francesco di Paola.
La povertà e la carità. Per un sacerdote, un vescovo, un cardinale che ha una formazione da gesuita potrebbe aprire, ciò, delle chiavi di lettura sui temi teologici del progressismo e dell’incontro tra teologia e cultura in senso lato. Ma Francesco, questo nuovo Papa, ha dalla parte sua un esempio molto caro che è quello di San Giuseppe Moscati. Anche Moscati è nella formazione dei gesuiti. E cosa significa questo?
Diceva San Giuseppe Moscati: “Non dimentichiamo di fare ogni giorno, anzi, ogni momento, l’offerta delle nostre azioni a Dio compiendo tutto per amore”. E c’è il francescano ai piedi della misericordia che si fa bellezza. Questa è la fede della centralità di una cristocentricità che esclude forme e poteri dentro i quali la Chiesa degli ultimi tempi era precipitata.
Ci sono problemi etici da affrontare. Problemi in cui le povertà avanzano. Fattori di precarietà esistenziale. Paure. Tremori d’anima. Perdita di contatto con il sacro. Religiosità che si confonde con regole oltre il sacro. Civiltà nuove in cui i feticci di una antropologia si trasformano in strazi di esistenza per le famiglie. Papa Francesco sa dell’eredità che si porta dietro ma noi sappiamo in quale cultura, in quale contesto, in quali strutture reali ha sviluppato il suo messaggio pastorale.
Ricordo che mi disse che c’è la preghiera che deve coronarci le mani con il rosario dei giorni ma c’è soprattutto l’esempio che deve rappresentarci. Una bella missione dentro una Chiesa che si è frammentata e mettere insieme i cocci di una struttura nel nome di una nuova visione della Chiesa non è certamente facile.
Ma la fede non è facile. Perché la grazia ci porta a ciò che spesso diceva Giuseppe Prezzolini che nella verità Dio è sempre un rischio. Io che, in questi anni, ho combattuto la mia battaglia, buona o non buona non ha importanza in questa occasione, per tentare di far capire come si può essere eretici restando in Cristo ora la presenza di un gesuita – francescano mi pone realmente una questione che non è assolutamente etico o teologica ma profondamente metafisica.
Lo dico sin da ora e non potrò essere smentito. Francesco sarà il Papa della svolta perché sarà il sacerdote che camminerà con noi oltre le apparenze. E se ho visto bene come in Argentina era considerato e come era amato in nome non della carica che rivestiva ma della parola che offriva e dei segni di umiltà provvidenziale che lanciava posso ben dire che nell’anima di una Nazione quando il sorriso si fa verità e speranza si è già oltre la tristezza che cammina nei cuori feriti e vuoti.
Il Cardinale nel passaggio pastorale ha segnato di speranza il cammino. C’è sempre una vita nascosta con Cristo in Dio, direbbe San Paolo e questo nuovo Papa è un viandante che non solo viene da molto lontano, come direbbe Giovanni Paolo II, che lo incoronò Cardinale, ma proseguendo il suo cammino si fa pellegrino dei popoli e delle genti. Perché l’America Latina è un grande popolo ma è anche una civiltà in sofferenza e costituisce l’esempio non solo di una geografia territoriale ma di una geografia di anime che sono quelle americane, quelle Occidentali e le storie intrecciate nelle altre religioni che non ammettono confronti.
E Papa Francesco il confronto lo ha già chiesto perché lo ha vissuto nella sua formazione. Le sue origini piemontesi lo rendono un uomo di terra come era San Francesco. Il suo modello cristiano non nasce dalla teologia della saggezza ma dal mistero misericordioso.
Il mistero e la preghiera. Due altri elementi che sono nel suo pellegrinaggio religioso. Portare l’esempio: è questo il vero testamento di fede in una chiesa che trema nelle divisioni. E l’esempio è un gesto di pazienza nel comunicare il coraggio dell’esserci nella preghiera, o meglio di dare un senso alla preghiera. E quando si da un senso alla preghiera anche la testimonianza non ha bisogno della tolleranza perché il rosario è già il superamento della intolleranza. Un Papa nuovo, dunque. Non direi nuovo.
Un Papa di cui abbiamo bisogno. Celestino V fece la grande rinuncia nei confronti di una chiesa in decadenza. Benedetto XVI ha fatto la grande rinuncia nei confronti di una chiesa che non si è saputa contrapporre al relativismo. Francesco ha accettato perché la Chiesa deve ritornare a suoi due pilastri: la cristocentricità come dono tra i popoli nel “Cantico delle Creature” e la forza di saper guardare oltre con il volto, lo sguardo, gli occhi di Maria.
La Chiesa dagli antichi orizzonti nella tradizione della Grazia eterna. Il suo Francesco è un simbolo. In questo buio devastante l’uomo del relativismo aveva persino smesso di leggere i simboli.
Questo Papa ci invita ad abitarli i simboli nel nome di un Cristo risorto lungo i passi del nostro essere uomini. Lo ricordo. Con la sua umiltà, il suo sorriso, la sua attenzione mentre tentavo di legare il “Cantico delle Creature” alla “Terra Promessa” di Giuseppe Ungaretti. Fu incontro nel nome di Giovanni Paolo II.
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