di Pierfranco Bruni
Entriamo nei giorni della religiosa meditazione e nella
Settimana della Croce, della Passione e della Rivelazione. Salvezza e
tradimento. O tradimento e Redenzione. Un viaggio inesorabile dentro la fede, il
pentimento, la rinuncia, la salvezza, il dolore, la croce, il suicidio. Se
la Croce resta
una sfida il viaggio del Messia è una indefinibile rottura di schemi giocati tra
la tradizione, l’ermeneutica, il mistero, l’evangelizzazione e la rivoluzione in
una cristianità in cui la religione può restare fuori dalla teologia delle
liturgie. Ma Cristo è una sfida e la sfida più imponente, mai rischiosa, più
importante e resistente sul piano di una chiarificazione esistenziale dove i
“demoni” sono serpenti che abitano i “sottosuoli” dell’anima e dell’abitato
nostro metafisico è tutta giocata tra il personaggio “io” e l’umanità di una
civiltà che trova la sua grotta nei disamori. Ma perché Cristo si impone come
misericordia nei cuori coraggiosi? Perchè tradimento e tradito sono viaggi
inesorabile nel mistero della salvezza? Giuda? I suoi occhi del tradimento
quanti tradimenti hanno dovuto subire.
Ci sono quattro personaggi che scivolano in quel campo di
sangue che ha la terra tremante. C’è Giuda, quello che ha tradito. Pilato,
quello che si è lavato le mani. Barabba, quello che la folla ha risparmiato.
Pietro, quello che per tre volte ha rinnegato ma è riuscito ad incontrare lo
sguardo di Cristo.
Incontrare lo sguardo di Cristo. Il punto sta qui. Lo ha
incontrato o Cristo ha cercato lo sguardo di Pietro? Cammino lungo il pensiero contemplante, non
teologico, ma misterioso di un Giuda pentito e suicidatosi per non essere
riuscito a chiedere perdono prima che Cristo venisse messo in Croce o per non
aver avuto il tempo e forse neppure la forza e il coraggio. Pietro si è salvato
dopo aver rinnegato e quindi dopo aver tradito perché i suoi occhi hanno visto
gli occhi di Cristo. Rinnegare, negare, tradire.
Tre verbi che hanno una consolidata matrice teologica
certamente ma anche gnostica e sinottica. Tre concetti che richiamano metafore.
Qual è la differenza tra Giuda e Pietro? C’è una differenza di fondo? Giuda si
sporca le mani e l’anima per i trenta denari che restituisce o che servono per
acquistare il campo di sangue nel quale individua un albero dove poter legare la
corda per la sua morte. Una morte suicida. Vendersi, vendere Cristo, suicidarsi.
Tre peccati ma Cristo che ha perdonato Maria di Magdala in una incastro pesante
dentro il quale ha coinvolto tutti coloro che avevano un peccato da farsi
perdonare (chi ha avuto il coraggio di scagliare la pietra?) avrebbe potuto non
accogliere il perdono di uno dei dodici al quale guardava con molta attenzione?
Perché Giuda non è riuscito, dopo il bacio, a riparlare
con Cristo? Chi ha impedito ciò? C’è la storia che recita il suo teatro e la
misericordia non si serve della storia ma della Grazia. In Giuda la Grazia non arriva. In
Pietro, invece, il rinnegare tre volte, per ben tre volte, non è segno di un
tradimento eterno.
Quel rinnegare viene condonato perché è lo sguardo di
Cristo che lo illumina e proprio Pietro diventa la pietra della Chiesa. Mentre
tre volte Pietro rinnega, Giuda consuma il suo “delitto” su tre verbi: vendersi,
acquistare, tradire. Un triangolo che si pone ai piedi della Croce.
Ma il problema vero non è teologico (nonostante
l’intreccio dei sinottici: Matteo, Marco o Luca) ma è completamente vissuto su
una “epistemologia” in cui il dubbio ha tre angoli spezzati: la possibilità
della salvezza, la capacità di catturare la verità, l’indolenza dei sacerdoti
che guardano al Cristo morente, perché da loro condannato, nell’ultimo sussulto
del Dio perché mi hai abbandonato.
Il mio viaggiare è inquieto e disperante ma non conosce la follia del
dubbio ma soltanto il dubbio lungo la strada piana del deserto che introduce nei
labirinti che incrociano fede, religione e
retorica.
La salvezza è credere. La verità è la salvezza del
credere. L’abbandono è il timore dell’essere stato abbandonato. Giuda comprende
tutto questo nell’ultima “seduta” in cui Cristo invita a fare in fretta nel
consumare il tradimento? Giuda, secondo Giuseppe Berto, dice: perché sei stato
Tu Cristo a scegliermi? Il vero prediletto è Giuda o Pietro? Il vero colpevole,
se di colpa bisogna parlare, è il morente con la corda al collo è il portatore
di una Croce tradita?
Al centro di tutto c’è chiaramente la misericordia ma
prima della misericordia c’è il dolore e il dolore passa inevitabilmente
attraverso la conoscenza o la ricerca o la grazia della verità. Conoscenza,
ricerca, grazia.
Giuda ha percorso questi tre viaggi perché nel suo dubbio
c’era la necessità di giungere, o raggiungere, alla verità. Quella verità che
leggeva nella illuminazione di Cristo. Non della Croce. Sfidava Cristo. Infatti,
il suo gesto, quello di Giuda, è stato un gesto di sfida. Io ti sfido Cristo a
rivelarmi la verità contro la corruzione e la falsità. Hanno duellato sino alla
fine.
Giuda e Cristo. Gli occhi e il volto sono immagini e
immaginario dentro quella tradizione tra teologia, filosofia e mistero. E sono
stati morenti entrambi. L’uno appeso ad una corda. L’altro inchiodato su un
legno. La morte è giunta per entrambi. Ed entrambi hanno dato un segno preciso:
quello di portare la salvezza.
La morte supera la vita e ci offre la verità. Inquieti
entrambi. Disperato Giuda nel sangue del suo campo. Nell’attesa della speranza
Cristo nel suo grido finale. Pilato non passa inosservato. Ma non riesce a
comprendere la differenza tra la misericordia e la grazia nonostante la presenza
di Claudia. Barabba è il confuso che smarrendosi cerca la via della conversione.
Due personaggi non secondari nella teatralità del dolore
cristiano. Ma chi resta nel sangue e muore tra la disperante voce strozzata e
l’urlo dei vinti in cerca della speranza illuminante sono Giuda e Cristo. Pilato
proseguirà con i suoi sensi di colpa la sua morte – vita. Barabba nella
dichiarazione della devozione resterà trafitto della forza di Cristo. Pietro
proseguirà il suo cammino sino alla croce nella bellezza – sacrificio della
parola cristiana. Ma il tutto si consuma tra Getsemani e il Golgota e il campo
di sangue. L’attesa si lega al destino.
L’attesa di conoscere il destino. Oppure quale destino
possibile per la morte del traditore? Per me Giuda resta il tradito. Chiariamo
questa visione. Il tradito al quale non è stata data la possibilità della voce
misericordiosa per un progetto nel “destino” tra l’intreccio teologico e
mistico.
Il Giuda tradito è nel mistero. Così come lo è il Cristo
abbandonato nel luogo della solitudine e abbandonato nell’ultimo verbo che lo ha
condotto al tremore del cielo. Non è bastata la pazienza del deserto e lo spazio
nella distesa del deserto, non sono bastate le rose di Gerico o il Cantico dei
Cantici (dell’A.T.), non l’amore della Magdala o la persuasione di Giuseppe e il
pianto di Maria o il dubbio delle sorelle di Lazzaro. Nulla è bastato sino alla
consumazione dell’atto finale tutto disputato intorno all’Orto degli Ulivi, il
Golgota e il sangue disseminato nel campo di Giuda. Lì si cambia la storia e la
storia non è più rappresentazione e neppure scavo per una teologia dei saperi.
Ma mistero. Mistero salvifico. Mistero morente. Ma la morte è rivelante. E so lo
è per Cristo lo è anche per Giuda il traditore tradito.
Perché è Cristo che resterà la nostra anima. Perché è
Cristo che resterà la nostra consolazione orante. Prendo atto, nella mia
riflessione misericordiosa, che nel tradimento c’è l’anima del tradito ma so
anche che ho bisogno di superare il deserto e vivere i miei labirinti
oltrepassando i sottosuoli che si agitano.
Cristo ci aiuta. Cristo è.
Se Cristo è, quel è è essere
io dentro noi, noi dentro la voce del è.
Ma se Cristo
è, questo è o questo essere è anche la presenza di Giuda che non smette di
agitare i nostri tremori. La nostra vita di fede e non di fedeli? Ma la nostra
vita in Cristo resta nel dubbio della morte evitabile – inevitabile di Giuda.
Tutto ciò che accadrà dopo ha il respiro dell’ombra, e
ancora oggi, e se si vuole la luce si ha bisogno di attraversare le ombre e di
rendere vero Giuda. Quel dolore, come quello di Gesù non lo possiamo non
considerare salvifico. Il pentimento di Giuda, pentimento disperato. E la morte
in Croce di Cristo che è salvezza che prepara la redenzione. La morte si vince
attraversando la luce. Paolino il messaggio e, lungo questa strada, ci conduce,
se pur nel dubbio del mistero in fede, nel Cristo. Nel Cristo dell’urlo
inquietante che diventa Rivelazione di vita.
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