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giovedì 14 marzo 2013

L’AMBIGUITA’ DEL MONDO CATTOLICO NELLA TRAGEDIA DI ALDO MORO - 16 marzo 1978 - A 35 ANNI DALLA MORTE

di Piefranco Bruni

Mi interessa poco di essere considerato eretico o meno. Disubbidiente a mia madre cattolica e liturgica. Lo sono se dovessi credere nelle Chiesta Apostolica Romana uscita dal Concilio Vaticano II.  Sono lontano da questa Chiesa.  Il  Cristo che mi cammina dentro è profondamente eretico rispetto a questa Chiesa e non mi bastano pagine di retorica teologica per una spiegazione.
Io sono oltre la ragione e la storia è la dominazione di due teologie e filosofie: quella cattolica e quella maxista.  Sono anni tragici ma i miei anni tragici sono stati vissuti in prima persona negli anni 1977 e 1978.


La morte del cattolico – cristiano Aldo Moro mi ha condotto su strade profondamente diverse e mi ha fatto capire l’ambiguità cristiana tanto cara a Diego Fabbri. Il mondo cattolico deve ancora fare i conti con la morte di Moro e con le lettere dello statista che risultano come un vero atto d’accusa alla “sua” storia di cattolico.
Il cattolico, senza travisare dal filosofo Augusto Del Noce nel suo splendido “Cattocomunismo”, pubblicato in anni difficile della mia generazione formatasi su Salinari, Ricci, Villari, Sapegno e le dottrine donmilaniane e comuniste alla Asor Rosa, (oggi non siamo distanti: i libri che circolano nei Licei sono pienamente ideologizzati comunisticamente e intercalati da errori: ma i docenti e i dirigenti, ex presidi,dove sono a controllare ciò?) è quello che riesce a mettere insieme il cristianesimo, senza Cristo ovviamente, e Marx.  Compromesso storico?
Ma gli anni Settanta i cattolicicomunisti con chi stavano? Il 1978: rapimento, 55 giorni, uccisione di Moro.
Con Moro o con lo Stato? Con la morte di Moro o con Craxi? Né con le BR né con lo Stato (come diceva nel suo gnostico – laicismo) Leonardo Sciascia? Con le parole di Paolo VI rivolte alle Brigate Rosse e con il funerale di Stato voluto da Chiesa e Stato senza il cadavere di Moro negato giustamente dalla famiglia o con la famiglia Moro chiusa nel “religioso” silenzio senza pietà e carità? Io stavo con chi a tutti costi doveva salvare la vita di Moro.
Ma non fu il cristiano Aldo Moro a scrivere: “Se la pietà prevale il paese non è finito?” Quale pietà per i cattolici del compromesso storico?
Prezzolini intelligentemente ha scritto un libro di grande potenza esistenziale dal titolo: “Cristo e/o Machiavelli” ponendo come premessa il pessimismo cristiano di sant’Agostino e il pessimismo di Machiavelli.
Io credo nel mistero e non nel perdono.
Non credo nel peccato perché credo nell’illuminazione tra la voce di Budda e l’illuminazione sciamanica. In tutto questo la cultura del Veggente è una profetica idea di rivoluzione.
Le sedute spiritiche sono il ridicolo di quella vicenda che ha visto protagonista il morigerato, moralista, cattolico Romano Prodi.
In quegli anni ho capito che l’inganno cattolico sta nello scindere l’ambiguità con l’invidia. L’invidia nasce proprio nel mondo cristiano. È l’invidia che ha ucciso Cristo e che ha portato al suicidio Giuda. Cristo non è nei seguaci. I Sinottici si propongono come verità con chiavi di lettura diverse. Quale verità? O cosa è la verità? Il duellare tra Pilato e Cristo è il tragico che incombe.
Il cristianesimo è altro rispetto alla corona di spine. Il tempo intercorso tra la fustigazione di Cristo, la messa in croce, il suo ultimo respiro in quella parola così penetrante rivolta a Dio come è stato vissuto dai seguaci di Cristo?
Mi ritorna sulla scena della mia contemporaneità la figura di Aldo Moro. Ma i cattolici non sono sempre la salvezza? L’invidia e l’ambiguità sono caratteristiche fondanti.
Scriveva  D. H. Lawrence nella sua “Apocalisse”: “L’amore cristiano salverebbe l’universo, ma c’è l’invidia cristiana che non sarà mai soddisfatta fin quando non l’avrà distrutto”.
Credo che il luogo e la metafora della perdizione sia proprio nel comprendere l’accaduto  nell’orto di Getsemani. Se Pilato ha sparso fiumi di acqua per non accettare responsabilità nel dare un giudizio. Pietro si è trovato nel suo ruolo ambiguo di rinnegatore. Chi rinnega una volta non può essere affidabile. Eppure ha incontrato lo sguardo di Cristo. Questo incontro di sguardi è la cacciata della gelosia e dell’invidia dell’uomo Pietro per proiettarla  nel corpo dei cristiani.
E Moro nel 1978? Una delle testimonianze nel pozzo dell’anima cristiana.
Siamo nella tragedia della perdizione.
Volutamente ho intrecciato provocazione e stabilito rotture di schemi con una studiata confusione e con la presunzione di non possedere alcuna verità, ma anche di non credere ad alcun dottrina e tanto meno di affidarmi a conversioni.
Appartengo ad una generazioni di demoni e di rivoluzionari, di religiosi tra islamismo, cristianesimo e buddismo, di guerrieri combattenti nell’utopia, che ha difeso sempre la vita di Moro mentre la Chiesa ha celebrato il suo funerale senza il suo cadavere. Pensate un po’?
Un detto tibetano recita: “Non basta che la dottrina sia grande. La persona dev’essere grande nell’atteggiamento”.

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