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mercoledì 19 giugno 2013

Tema di maturità 2013. Una bella discussione. Il viaggio di Magris come un viaggiare abitando il viaggio

Di Piefranco Bruni
Viaggiare viaggiando. Una dimensione nell’emisfero sia geografico – antropologico sia linguistico – etnico sia storico – fisico. Una delle tracce dei temi di maturità di quest’anno, che considero esteticamente imponente, è certamente quella tratta da un brano (prefazione) di un scrittore come Claudio Magris, che ha fatto della questione del viaggio un “labirinto” centrale del suo essere, del suo vissuto e del suo pensiero.
Non è nuovo a questi percorsi Claudio Magris. Non lo è sia in termini di ricerche e di pubblicazioni ma non lo è soprattutto dal punto di vista letterario e umano. “L’infinito viaggiare”, che ho recensito a suo tempo con un lungo saggio, è il viaggiare infinito tra gli abitati e abitanti della sua coscienza e gli esili delle frontiere.
Il concetto di frontiera, per uno scrittore nato a Trieste (terra di frontiera e di orizzonti), ha una triplice valenza: quella realmente geografica, quella antro – linguistica, quella etnico – politica.
Uno dei suoi libri più “vissuti” è certamente “Danubio blu”, la cui metafora è un viaggiare tra i simboli che ricreano percorsi di tempo. Non si tratta, qui, ora di analizzare il breve brano perché per poterlo fare occorrono altri elementi biografici ed editoriali sull’autore, ma c’è da dire che la sottolineatura forte del viaggio accostato con le lingue e la storia ci porta inevitabilmente ad una chiave di lettura antropologica. Ma Magris è consapevole di ciò, soprattutto quando usa il termine  attraversare le frontiere.
Le frontiere si attraversano e non sono come gli orizzonti e non sono come i confini. Le frontiere separano. Ma l’obiettivo di tutta l’opera di Magris è quella del viaggio includente, ovvero bisogna comprendere il senso del viaggio prima per comprendere il proprio viaggio ulissico e poi per spezzare le finestre e dare voce alle partenze. Il viaggio è una costante partenza.
Il libro dal quale è tratto il brano è una allegorica misura tra la partenza e la fine della partenza che può significare anche un nuovo viaggio. Viaggio, dunque, come ricerca della propria interiorità. Ma anche questo vive di frontiere. Jung ci avrebbe disegnato la mappa dell’essere per una conoscenza di se stessi. In questo viaggio interiore, che non è da intendersi quale camminamento spirituale, c’è l’incisibilità della rottura della frontiera che incontra l’orizzonte.
Dobbiamo poter uscire dai nostri deserti soltanto superando il viaggio dei nostri labirinti (avrebbe detto Mircea Eliade, il grande teorico del rapporto tra viaggio e simbolo del labirinto), perché in questi labirinti che si raccolgono i destini di una appartenenza. Appartenenza che può essere linguistica, transitiva tra il sociale e il culturale, fisica come è il vivere nelle comunità di quartiere.
Ma da questo labirinto bisogna che si esca. Ci vengono incontro ancora Eliade, Pound, Pavese, Eliot, Walkot, Joece e tutta quella letteratura di un Novecento, compresa quella dei viaggiatori come Piovene, Moravia, Alvaro che può fare a meno di Dante e della sua teologia.
La letteratura offre scavi tra la mente (Vittorino Andreoli) e la ragione (Pascal) in una onirica visione psicologica che è offerta non dalle parole ma dai linguaggi. La lingua non è il linguaggio. Maria Zambrano è la vera teorica del rapporto tra frontiera, viaggio ed esilio nel viaggio. Magris deve molto alla Zambrano proprio in una contestualità filosofica del temine vitale che è quello di abitare il viaggio.
Magris invita a “oltrepassare” le frontiere. Quelle frontiere che convivono con il nostro esistere e che sono comunque nella realtà come linea di demarcazione tra le civiltà, tra i popoli, tra le Genti (direbbe San Paolo).
Difendere le frontiere? Certamente difendendole si difende una identità culturale e una appartenenza ad una lingua. Perché le lingue minacciate sono quelle spezzate dai conflitti politici. Ecco perché attraversandole bisogna amarle senza viverle come modelli ideologici. Le idolatrie provengono proprio dalle ideologie e dalle religioni. Bisogna superare le religioni e le filosofie delle ideologie per renderle, le frontiere, superabili, le frontiere si superano nel momento in cui si attraversano.
Attraversarle significa, tra l’altro, penetrarle. Nell’anima, nel corpo, nella coscienza, nelle Ragioni di Stato. Ma al concetto di frontiera (ed ecco il vuoto del brano proposto agli studenti) deve subentrare un ulteriore concetto che è quello della identità diffusa (non condivisa). Le frontiere appartengono a processi politici ed esistenziali. Le frontiere si attraversano ma non si dimenticano le civiltà.
Certo, l’immaginario di Magris è di un cosmopolita ma i popoli fanno sempre i conti con le loro identità, tanto che i gravi conflitti tra popoli del Novecento sono sorti sulla linea delle appartenenze e delle eredità geo – politiche. La questione slava è una delle tante testimonianze, come lo è il problema che pone il Mediterraneo.
La metafora più vera è quella di considerare una frontiera come un muro (lo ha detto Sartre) ma la frontiera è anche il richiamo di una nostalgia di ciò che abbiamo lasciato prima di attraversarla e da questo punto di vista Albert Camus è un maestro nell’aver indicato il concetto di “Meridiano” come posizione di attesa di una esistenza tra gli uomini, tra i popoli e tra le civiltà.
Possono essere “provvisorie”. Lo sono. Ma non può esserci comprensibilità della frontiera senza un porto antropologico tra gli uomini e le tradizioni, perché attraversare frontiere vuol dire anche tentare di non perdere la memoria e la tradizione.
Il viaggio dei viaggiatori è ben altra cosa. I viaggiatori non fanno mai i conti con le frontiere. E da questo punto di vista non concordo con Magris (ma lo ebbi a dire anni fa in un convegno su “Frontiere ed etnicità”). Il viaggio è una realtà e una metafora le frontiere sono esistenze dell’anima e conflitti tra civiltà.
Non bisogna, comunque, mai disperdere il valore delle appartenenze. Solo così si salvano quelle lingue “tagliate” e la storia diventa leggibile nell’atrio dell’antropologia. Il resto è una analisi che non mi riguarda e affido ai docenti di lettere.
 

 




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