Credo che rivisitare i miti
classici sia un modo per ribadire l’impossibilità di un’armonia (purtroppo!)
con la realtà e reagire alla negazione della memoria e al tempo impietoso che
dissolve i ricordi. Come diceva Montale, ”il regno della morte è il tempo, che
sancisce la sconfitta del sogno della poesia, del tentativo di aprire un varco
nel buio del passato”. Il mito è poesia, è creazione, è esplorazione
dell’abisso che ogni uomo ha dentro di se’, è la poesia che incarna valori
eterni, è l’illusione di quel "giardino incantato" da cui non si vuole più
uscire. Quello di Orfeo ed Euridice è il più famoso mito dell’antichità, forse il più
bello, certamente il più difficile, continuamente descritto dalla fantasia e
dall’arte di
musicisti, scrittori, poeti, pittori.
Orfeo, il
più famoso poeta e musicista che la storia abbia mai avuto: non aveva eguali
tra uomini e dei ed era figlio di Eagro,
re della Tracia e della musa Calliope (o secondo altri di Apollo e di
Calliope). Il dio Apollo un giorno gli donò una
lira e le muse gli insegnarono ad usarla e divenne talmente abile che lo stesso
Seneca narra (Ercole sul monte Oeta): "Alla musica dolce di
Orfeo, cessava il fragore del rapido torrente, e l'acqua fugace, obliosa di
proseguire il cammino, perdeva il suo impeto ... Le selve inerti si movevano
conducendo sugli alberi gli uccelli; o se qualcuno di questi volava,
commuovendosi nell'ascoltare il dolce canto, perdeva le forze e cadeva ... Le
Driadi, uscendo dalle loro querce, si affrettavano verso il cantore, e perfino
le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto (...)".
Acquistò una tale padronanza dello
strumento che aggiunse anche altre due corde portando a nove il loro numero per
avere una melodia più soave.
Come prima grande impresa Orfeo
partecipò alla spedizioni degli Argonauti e quando la nave Argo giunse in
prossimità dell'isola delle Sirene, fu grazie ad Orfeo e alla sua cetra che gli
argonauti riuscirono a non cedere alle insidie nascoste nel canto delle sirene.
Ogni creatura amava Orfeo ed era
incantata dalla sua musica e dalla sua poesia ma egli aveva occhi solo per una
donna: Euridice, figlia di Nereo e di Doride che divenne sua sposa. Il
destino però non aveva previsto per loro un amore duraturo: infatti un giorno
la bellezza di Euridice fece ardere il cuore di Aristeo che si innamorò di lei
e cercò di sedurla. La fanciulla per sfuggire alle sue insistenze si mise a
correre ma ebbe la sfortuna di calpestare un serpente nascosto nell'erba che la
morsicò, provocandone la morte istantanea.
Narra Pindemonte (Epistole:
"A Giovani Pozzo"): "Tra l'alta erba non vide orrido serpe
che del candido piè morte le impresse."
Orfeo, impazzito dal dolore e non
riuscendo a concepire la propria vita senza la sua sposa, decise di scendere
nell'Ade per cercare di strapparla dal regno dei morti. Convinse con la sua
musica Caronte a traghettarlo sull'altra riva dello Stige; il cane Cerbero ed i
giudici dei morti a farlo passare e nonostante fosse circondato da anime
dannate che tentavano in tutti i modi di ghermirlo, riuscì a giungere alla
presenza di Ade
e Persefone.
Una volta giunto al loro cospetto, Orfeo iniziò a
suonare e a cantare la sua disperazione e solitudine e le sue melodie erano
così piene di dolore e di disperazione che gli stessi signori degli
inferi si commossero; le Erinni
piansero; la ruota di Issione si fermò ed i perfidi avvoltoi che divoravano il
fegato di Prometeo non ebbero il coraggio di continuare nel loro macabro
compito. Anche Tantalo dimenticò la sua sete e per la prima volta
nell'oltretomba si conobbe la pietà, come narra Ovidio nelle Metamorfosi (X,
41-63). Fu così che fu concesso ad Orfeo di ricondurre Euridice nel
regno dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la precedesse
e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del
sole.
Narra,ancora, Ovidio nelle Metamorfosi (X, 41-63). "(...)
Nè la regale sposa, nè colui che governa l'abisso opposero rifiuto all'infelice
che li pregava e richiamarono Euridice. Costei che si trovava tra le ombre dei
morti da poco tempo, si avanzò, camminando a passo lento per causa della
ferita. Il tracio Orfeo la riebbe,a patto che non si voltasse indietro a
guardarla prima di essere uscito dalla valle infernale (...)"
Orfeo, presa così per mano la sua
sposa iniziò il suo cammino verso la luce.
Durante il
viaggio, un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente pensando di
condurre per mano un'ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta
si voltò a guardarla ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono
sul suo volto Euridice svanì, ed Orfeo assistette impotente alla sua morte per
la seconda volta. Continua Ovidio nelle
Metamoforsi (X, 61-63): "Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si
lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo
amata? Porse al marito l'estremo addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare,
e ripiombò di nuovo nel luogo donde s'era mossa". Invano Orfeo per sette giorni
cercò di convincere Caronte a condurlo nuovamente alla presenza del signore
degli inferi ma questi per tutta risposta lo ricacciò alla luce della vita.
Si rifugiò allora Orfeo sul monte
Rodope, in Tracia, trascorrendo il tempo in solitudine e nella disperazione.
Quale che fosse il modo come Orfeo morì, è certo che ogni essere del creato
pianse la sua morte, le ninfe indossarono una veste nera in segno di
lutto ed i fiumi si ingrossarono per il troppo pianto.
Le Muse recuperarono le membra di
Orfeo e le seppellirono ai piedi del monte Olimpo ed ancor oggi, in quel luogo,
il canto degli usignoli è il più soave che in qualunque parte della
terra.
l mito di Orfeo ed Euridice ha
appassionato numerosissimi artisti, poeti e musicisti. Da Claudio Monteverdi a
Christoph Willibald Gluck (indimenticabile nella sua opera l'aria "Che
farò senza Euridice, dove andrò senza il mio bene?), da Antonio Sartorio a
Joseph Haydn, da Poliziano a Reiner Maria Rilke, al Buzzati di Poema a fumetti.
Moltissime le trasposizioni in scultura e pittura: tra le tante, il Paesaggio
con Orfeo ed Euridice di Nicolas Poussin, le due statue di Orfeo ed Euridice
scolpite da un giovane Antonio Canova e due bellissimi quadri di Gustave
Moreau, Orfeo (o Ragazza tracia con la testa di Orfeo) e Orfeo sulla tomba di
Euridice.
Il mito di Orfeo è da epoche
lontane il mito stesso della poesia, ed evoca, “la soglia che separa vita e
morte, prossimità e lontananza, luce e ombra, perdita e possesso, ma
soprattutto significato e suono”. Il cantore greco rappresenta il magico potere
della musica e della poesia, tanto che i simbolisti francesi e, sulla loro
scia, Ungaretti, hanno legato la vicenda della discesa agli Inferi di Orfeo
alla creazione poetica, all’esplorazione dell’abisso che ogni uomo sente ed
avverte dentro di sé.
Orfeo con il suo canto sublime fa
muovere le querce, ammansisce le belve, arresta il corso dei fi umi, trascina
anche gli inflessibili dèi dell’Ade e ottiene il privilegio di scendere agli
Inferi per riportare in vita la moglie
Euridice: il potere della poesia e la forza dell’amore possono vincere anche le
leggi che governano l’universo.
Un sogno o,piuttosto, una necessaria illusione
per un uomo sempre piu’ meccanizzato e meno spirituale?
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