Il Pd? Una ammasso sclerotico
Qualche giorno fa, con una lettera indirizzata ai componenti del Pd, l’assessore alla Cultura della Provincia di Taranto, Giuseppe Vinci, ha lasciato il suo partito. Una lettera nella quale si legge la delusione nei confronti di un partito che ha dimostrato di essere del tutto differente da ciò che si era proposto di rappresentare e l’amarezza di chi, dopo 35 anni di militanza, si sente costretto a lasciare la propria “casa politica” e “allontanarsi da tanti militanti con cui si sono fatte battaglie importanti, e a cui voglio bene”.
Dr. Vinci, perché questa decisione?
“Dal mio punto di vista, nel Pd si è esaurita la capacità di fare quel che si era ripromesso di fare, ossia unire il meglio delle grandi tradizioni politiche italiane e dare una prospettiva all’Italia. E questo non solo per un difetto di analisi, ma per l’incapacità dei gruppi dirigenti di rinnovarsi e di essere fedeli all’ispirazione ideale che stava alla base del tentativo. La differenza tra il dire, il pensare e il fare negli attuali gruppi dirigenti si era fatta per me davvero insostenibile. Sono anche convinto che il mio sentimento sia assai diffuso tra le migliaia di militanti e di cittadini che vivono questo momento della vita politica dell’Italia e di Taranto in particolare”.
A livello nazionale, però, l’arrivo di Franceschini sembra aver rappresentato un cambiamento?
“Credo che Franceschini stia facendo delle cose buone, proponendo finalmente alcune posizioni concrete e chiare. Non credo però che nell’assetto attuale, l’ammasso sclerotico cui si sono ridotti i gruppi dirigenti accetterà un cambiamento reale, che per essere tale dovrebbe prevedere un loro netto ridimensionamento”.
Qualcuno del Pd le ha chiesto di ritornare sui suoi passi?
“Ho ricevuto manifestazioni d’affetto da parte di chi ha compreso la fatica che il mio gesto ha significato per me, a partire dal segretario del mio circolo, Massimo Serio. Ma non c’è stato alcun contatto da parte dei dirigenti provinciali del partito, a conferma della sostanziale reciproca estraneità”.
Cosa hanno significato per lei questi cinque anni di amministrazione provinciale?
“Dal punto di vista amministrativo sono contento di aver dato un contributo sui temi della scuola, dell’arte contemporanea e del teatro. Penso di poter dire che la presenza dell’Assessorato è stata registrata positivamente in questi settori. Assai meno felice di come in questi anni ha funzionato la macchina complessiva della Provincia, sulla quale non siamo riusciti a incidere più di tanto.
Dal punto di vista strettamente politico è stato invece un periodo di grandi battaglie e grandi sconfitte, che però è valsa la pena affrontare”.
Il centro sinistra a Taranto arriverà alle prossime amministrative quasi sicuramente diviso...
“La ferita delle elezioni comunali non è stata ancora rimarginata, perché troppo profonda, e perché piuttosto maldestri i chirurghi. Stefano è difficile da interpretare, sotto il profilo politico, e da parte del PD c’era l’idea sciocca di poterlo costringere a fare cose che non vuole fare, attraverso la costruzione di improbabili percorsi politici. Avremmo bisogno di più saggezza e di maggiore aderenza ai problemi reali, quelli con i quali si confrontano quotidianamente i cittadini. Avremmo bisogno di una politica più autentica e di politici più equilibrati.
E delle primarie cosa ne pensa?
“Per aversi vere primarie c’è la necessità di opzioni realmente diverse che si confrontano apertamente e lealmente. Nel contesto attuale, le primarie rischiano di essere un rito vuoto, di convalida delle scelte dell’apparato.
Come vivrà le prossime elezioni amministrative?
“Il mio ruolo sarà quello di osservatore attento e rispettoso di una cosa che è comunque importante”.
Sono tanti coloro che la pensano come lei. Ma quali sono le prospettive per il loro futuro?
“Si contano a milioni le persone in Italia che non si riconoscono in una destra fatta di egoismi, larvatamente razzista, e con i muscoli finti delle ronde. Come milioni sono quelli che non si ritrovano in quella che lo stesso Bertinotti – autocriticamente – ha definito la “casta di sinistra”, scollegata dai sentimenti reali della gente e protesa alla sua conservazione. Parliamo di persone sensibili, intelligenti e attive che attualmente non trovano una collocazione adeguata e si tengono lontane o si stanno ritirando dalla politica attiva. Sono convinto che queste persone troveranno un modo o una forma organizzativa più consona alle loro esigenze. Se non cambiano i partiti già esistenti, ne nasceranno altri. Ciò che definiamo “di sinistra” – cioè l’aspirazione alla giustizia sociale, l’uguaglianza delle opportunità per chiunque nasca, il valore del lavoro e della cultura, ad esempio – è liberamente presente in natura, cioè nell’uomo, più precisamente in milioni di uomini. Non è un’invenzione della politica. La buona politica “di sinistra” è quella che questi sentimenti cerca di interpretarli e di portarli nei luoghi del potere... e oggi quella politica si fatica a rintracciarla. Ma tornerà”.
Continuerà in qualche modo a fare politica?
“E’ nella mia natura, e non credo di poter e voler cambiare. Ma la politica si può fare in tanti modi, dentro e fuori un partito, dentro e fuori la professione. Per adesso va bene un po’ fuori dai partiti, poi si vedrà.
i dirigenti provinciali del PD non hanno il coraggio di aprire un confronto con Vinci e si nascondono nell'anonimato. Quella lettera l'ha scritta Giannico. Il Quotidiano, poi, rende ancora una volta testimonianza di pessimo giornalismo prestandosi a simili giochetti ("Un gruppo di militanti del PD ex DS", come da firma, nel titolo diventano "i militanti del PD", cioè tutti).
RispondiEliminaquesta intervista e' ridicola e pubblicarla e' ancora piu' ridicola
RispondiEliminaleggendo questa intervista si ha la sensazione che i prossimi "pazienti" del dottor Vinci saranno tutti qui compagni e amici di sinistra che a grottaglie stanno cercando di dar vita ad una sinistra diversa da quella che abbiamo conosciuto finora
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