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martedì 17 luglio 2012

Mauro Mazza premiato al Premio nazionale alla cultura "Nausicaa d'argento" - Carosino (Taranto)


Si è svolto sabato 14 luglio nell'incantevole atrio del Castello d'Ayala Valva di Carosino, il Primo premio nazionale alla cultura "Nausicaa d'argento" ideato dagli assessorati alla cultura e alla promozione del territorio del Comune di Carosino e grazie alla fattiva collaborazione dello scrittore e funzionario del Ministero dei Beni Culturali, prof. Pierfranco Bruni, l'autore carosinese Mino Rodia e il giornalista carosinese, dott. Floriano Cartanì.
Il vincitore del premio è stato Mauro Mazza, Direttore di Rai Uno con il libro "L'albero del mondo", il dirigente RAI ha ringraziato ritirando il premio "la cittadina tarantina per l'accoglienza e si è reso disponibile a creare un canale preferenziale sulle bellezze di Carosino e sulle sue peculiarità, affermando che presto sulla Tv di Stato si parlerà di Carosino".
La nuova Amministrazione Comunale di Carosino guidata da un anno dal Sindaco Biagio Chiloiro, ha cambiato il modus operandi della cultura, con una voglia di accrescere "la voglia di cultura" con iniziative ad ampio respiro di carattura nazionale, ponendosi come comune denominatore il  mediterraneo, la cittadina del vino grazie agli appuntamenti che si stanno svolgendo vedi "Caffè Letterario" e tante altre iniziative realizzate dall'assessore alla cultura, Paco Vinci, sta creando un modello da imitare in Terra Ionica.
Il libro "l'albero del mondo" realizzato dal Direttore di Rai Uno, Mauro Mazza, è stato dettagliatamente presentato dallo scrittore e autore carosinese Mino Rodia.
Carosino si candida a diventare la vetrina del panorama culturale ionico aperto al mediterraneo, nelle prossime settimane si svolgeranno altre iniziative.
Ecco la recensione di Cosimo Rodia
L’albero del Mondo di Mauro Mazza, Fazi editore, è un romanzo che ha come macrocornice l’autunno del 1942, anno della guerra totale e di massima espansione territoriale delle forze dell’Asse, come microcornice Weimar (famosa città tedesca della Turingia, di Bach, Goethe, Schiller, sede della Bauhaus e del Parlamento Costituente dell’omonima Repubblica), in cui il ministro della propaganda Goebbels organizza (per la terza volta) un incontro dell’Unione europea degli scrittori, per affermare l’egemonia culturale del terzo Reich.
La delegazione italiana è formata (dopo la rinuncia di Papini, Bacchelli, Montale…), da giovani studiosi: Cecchi, Baldini, Falqui, Pintor, Vittorini…
L’Autore si sofferma su Giaime Pintor, Elio Vittorini e Joseph Goebbels, impastando i tre destini con fatti storici, personali e di mera fantasia, in una narrazione ora sincronica ora diacronica.
Tre personaggi con una medesima koinè: ognuno esprime l’inizio della fine di qualcosa in cui ha fortemente creduto; essendo stati tutti temprati e modellati da un’unica ideologia, lasciano trasparire segnali di una tragedia incombente.
L’albero del Mondo è un’opera plurigenere, contiene caratteri del romanzo storico, psicologico, ideologico, giallo, biografico…, intrecciati con sorprendente rapidità, utilizzando una cifra stilistica sorvegliatissima, con un linguaggio medio e con l’intercalare di parti dialogiche che in realtà non creano movimento narrativo (com’è usuale) perché esse si allineano alle sequenze narrativo-riflessive con lo scopo di analizzare, esplorare, cogliere le sfumature psicologiche individuali, raccogliere e manifestare il senso d’angoscia, lo smarrimento umano di chi si ritrova svestito delle proprie certezze.
Il plot del libro è semplice. Pintor è a Weimar con altri scrittori italiani; è raggiunto da Vittorini, con cui ha una consonanza elettiva; dopo i lavori, partecipano alla chiusura congressuale  con l’intervento di Goebbels; durante e dopo la kermesse aleggia nell’aria un’atmosfera di mestizia perché tra le cose credute e la realtà effettuale si infiltra il dubbio; dubbio che porterà i due studiosi italiani all’antifascismo e il Ministro al suicidio perché l’adesione al Reich avrebbe comportato o «il trionfo o l’apocalisse» o «la gloria o la tragedia».
A fianco ai quadri sinottici che si susseguono, si sovrappongono dei flashback riguardanti amori tormentati sia di Pintor sia di Vittorini; un intreccio, dalle atmosfere di giallo ad enigma, legato alla scomparsa del fisico italiano Ettore Majorana; e un altro intreccio dai toni gotico-splatter riguardante una visita di Goebbels al campo di sterminio di Buchenwald, per punire un direttore e la moglie corrotti e troppo sanguinari (sic!).
Nel romanzo spira un’aria di frenata esaltazione, di scoramento nel cuore che traspare dagli occhi e dalle parole meno cariche di verità degli attori.
Mazza non fa agiografia, perché i protagonisti (principali e secondari) sono funzionali a rappresentare gli avvenimenti funesti, conseguenti di scelte scellerate.
L’autore fa emergere attraverso i pensieri e i dialoghi dei tre attori principali la dimensione tragica, scaturita dall’adesione all’ideologia di morte. Sono personaggi alla deriva che coincidono con la visione del “Tramonto dell’Occidente” (libro tradotto in Italia da Evola); uomini formati alla corte di Spengler nel credere nell’inverno della civiltà europea, nella sua decadenza ineluttabile, a meno che uno Stato Totalitario non avesse recuperato i valori spirituali originali. È l’humus culturale entro cui si muovono gli eroi del romanzo.
Così Mazza mette brillantemente in luce le ragioni del consenso popolare al fascismo e al nazismo, attraverso le parole di la Rochelle, un altro eroe tragico, «Hitler ancora adesso può contare sulla fedeltà del popolo tedesco perché è l’immagine del suo destino, il riscatto dopo l’umiliazione dell’altra guerra, lo spazio vitale per una nazione che si sente Europa essa stessa. Prima di Hitler, soltanto Napoleone Bonaparte era stato così in simbiosi con il suo popolo. Hitler e Napoleone sono la forma del desiderio, della fede e delle frustrazioni degli uomini, che nel loro Capo vedono rispecchiarsi le speranze e cancellare le disperazioni».
Il Capo dunque interpreta i sogni individuali e gli individui compiono un trasfert sul Capo. Da qui il consenso. Fascismo e Nazismo non sono dei nei della storia, ma momenti di un’esaltazione di massa per un sogno, per un’idea che ha portato alla follia.
Cosa manca a questi personaggi che vivono sotto un cielo annuvolato, in atmosfere autunnali? Manca di credere nell’uomo, nella sua unicità e nella sua libertà; manca il richiamo alla sua responsabilità, alla partecipazione e alla vigilanza, in una sola parola manca di credere nella democrazia (contrario dell’abiura), la migliore forma di Stato possibile, come ha scritto il beato Giovanni Paolo II, nell’enciclica Centesimus annus, perché può difendere la dignità della persona integrale (Laborem exercens), può promuovere la solidarietà e lo sviluppo solidale (Sollecitudo rei socialis). Antidoti, non sentimentali, per difendere l’uomo dalle aberrazioni umane e della storia, ma questa è un’altra vicenda tutta da scrivere e per scriverla bisognava cambiare coordinate e valori. E Mazza dà proprio conto anche dello svegliarsi dal sonno dogmatico; con un sottile lavoro psicologico, coglie e rappresenta queste prime avvisaglie. Un risveglio accompagnato da dubbi, senza una roccia, una certezza; ma è tanto per proiettarsi oltre; le parole di Pintor recitano: «Per noi, amico mio, il fascismo è stato una religione, una mentalità, un orizzonte. Ora tutto vacilla di fronte alla strage di vite, alla devastazione delle coscienze. Non ho idea di cosa farò a partire da domani, caro Elio. Se c’è qualcosa di diverso da guardare e inseguire con un po’ di speranza, dimmelo tu. Dimmi se c’è qualcosa che io non riesco a vedere o a immaginare».
Un romanzo che si sarebbe potuto titolare “La caduta della grande utopia” e che rappresenta un esempio di letteratura che diventa vita nella misura in cui spinge la coscienza del lettore a tenere alta la guardia e a non addormentarsi. La coscienza civile anelastica impigrisce il soggetto e pietrifica la società rendendola vulnerabile.

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