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lunedì 19 dicembre 2011

Gli Anni Sessanta di Tonino Filomena tra la cronaca della comunità maruggese e le storie nazionali



Venerdì 23 dicembre, inizio ore 18, nel Nuovo Cine-Teatro Impero di Maruggio, (Ta) Pierfranco Bruni presenterà l’ultimo libro di Tonino Filomena  “Gli occhi della memoria – Viaggio sentimentale nella Maruggio degli anni ’60” (Apulus, pp. 160). L’introduzione sarà affidata al giovane Antonio Calasso (Centro culturale “Berto Ricci”). Nel corso della serata si esibirà un trio di chitarristi che percorreranno i mitici anni ’60 tra musica e canzoni. Filomena ha pubbli

cato, tra gli altri: Sindacalismo Fascista - Dalle origini alla Carta del Lavoro (2000). Il relitto della Madonnina – Storia di una nave militare greca del IV secolo a.C. naufragata nel mare di Maruggio (Taranto) (2004). Guida a Maruggio, dentro e oltre la storia (2006). Maruggio, la tua Terra, il tuo mare (DVD) (2007). Attacco a Maruggio: 13 giugno 1637 (2010).


Ma cosa sono stati gli Anni Sessanta per Tonino Filomena e per noi tutti di quella generazione “sua” e “anche” mia? La politica, l’impegno, il cinema, la televisioni, i fumetti… C’erano una volta gli anni Sessanta. Una favola antica nell’oblio di memorie che sembrano lontane e antiche ma hanno una loro malinconia nella contemporaneità di un vissuto che viviamo. C’erano gli anni Sessanta in uno sguardo i cui occhi sono il disegno di una memoria che ci riporta un logo geografico ma soprattutto un luogo dell’anima.

Abitandoli questi luoghi Tonino Filomena sembra dipingersi raccontandosi e raccontando tracciati non solo di storia, ormai diventata epocale, ma di un’età nella esistenza di un protagonista che  è sempre l’io narrante. L’io narrante in qualsiasi dimensione oggettuale o soggettuale lo si voglia considerare. E raccontare i “nostri” anni attraverso i fatti e gli avvenimenti attraversati non è soltanto creare o rivivere un mosaico.

Piuttosto si tratta di una riconquista di un tempo che forse ci faceva dire quando poco avevamo amato quei giorni in quei giorni considerandoli forse sia infiniti, in quel tempo, sia indefinibili. Ci sono gli Anni Sessanta ma c’è anche un paese. La sua comunità maruggese: con i volti, con le scarpe, con i sogni, con la miseria e poi c’era il mare.

Eppure sono finiti, quegli anni, e sono diventati completamente definibili e  definiti anche in un immaginario che gioca tra i labirinti del nostro essere o del nostro non essere al di là, sempre, del bene e del male. Maruggio comunque resta nella soffitta di Tonino, la Maruggio degli Anni Sessanta. E non è nostalgia ,a consapevolezza.

Eppure gli occhi di una madre sono distanti ma sono dentro di noi e non si cancelleranno mai. Le parole pronunciate all’interno di una casa sembrano spaziature di lontananze eppure ritornano magari con il ritornello di una canzone di Adriano Celentano. La lettura di un testo di filosofia che ci ha visto giovani impegnati, come ci consideravamo un tempo, è, oggi, meno importante di una rilettura matura di un fumetto di Capitan Miki o del Macigno che si faceva chiamare Blek o di Diabolik di cui ci interessano non solo la sua intelligenza ma soprattutto il misterioso incanto di Eva Kant. Sono stato innamorato per lunghi secoli di Eva e poi di Zakimort.

Gli altri amori sono arrivati dopo. Ma per noi quella non era soltanto letteratura ma era vita nel quotidiano e nel sogno. E tutto questo si viveva catapultato all’interno di un paese. Di un paese con la sua logica e legittima provincialità e la sua fisica appartenenza.

Un libro emozionante. Bello. L’estetica del bello è dentro le pieghe di queste voci sottili, ombrate e luccicanti di Tonino. Gli affetti, i sentimenti, le corse per strade di terriccio e poi pensare alle città che mai ci sono appartenute, e poi ancora il risveglio di un viso, di due mani che ti stringono, di un sorriso che giunge dalla porta accanto…

Questo di Tonino Filomena perché finalmente non si parla degli anni Sessanta con lo speculare storico – ideologico. Certo, c’è stato il ’68. ma era altra cosa. E non è detto che quel nostro ’68 era uguale ai sessantottini che tanto non mi piacciano, quando ostentano il loro sessantottismo, che camminavano con le barbe incolte, trascinandosi dietro la tristezza di una contestazione che ha approdato anche verso altri lidi che più non ci appartengono. Non camminavamo strascinando il passo e con il solito giornale nella tasca della giacca. No.

Io, proprio io, nelle tasche, in quegli anni, portavo le figurine dei calciatori Panini e le sfide si facevano non tra rossi e neri ma tra rossoneri e nerazzurri e così via oppure portavo nelle tasche le strisce dei fumetti prima citate cercando di ricordare anzi di non dimenticare i dialoghi con gli indiani in un West che tanto amavamo. Quante “canzonette” hanno dato vita alla nostra formazione. Beati noi!

I nostri paesi volevano dire, rubando a Cesare Pavese, che non eravamo soli. E in questo libro che ha sottili percezioni c’è una storia che forma diverse storie. Le nostre storie. E Tonino dall’osservatorio della sua e nostra contemporaneità osserva, senza riflessi nello specchio di Oscar Wilde, quel tempo dell’epoca degli anni Sessanta all’interno di una comunità e lo la legge con le scarpe e i visi che allora avevamo (come direbbe il contadino, poeta e sindaco Rocco Scotellaro).

Già, perché, in fondo tutti eravamo, borghesi e plebei, borboni e savoiardi, contadini e briganti perché quel pezzo di terra che si chiama origini e radici era e resta il paese, la famiglia, la nostalgia, il deserto, il mare.

E si continua a vivere, nonostante tutto, inseguendo un vento di malinconia con la certezza che tutto resta depositato sì nella memoria di una comunità ma in modo particolare, in questo caso, nella nostra memoria. E se c’è un paese con i suoi destini nella geografia fisica c’è sempre un paese dell’anima che è quello dell’inquieto trascorrere i segni e i simboli del nostro appartenere ad un tempo dentro il quale gli anni Sessanta sono stati punti formativi. Tonino penetra questo tessuto, dopo vari studi storici, etno - antropologici e storiografici dedicati agli anni delle guerre, del Fascismo, agli anni Cinquanta e alla identità di una realtà territoriale che conosce molto bene, con gli occhi della memoria.

Una memoria che non è soffitta, che non è deposito di cianfrusaglie, che non è una geremia e neppure un incontro proustiano, ma continuità di un vissuto che penetra il vivere. Non ci sono parentesi nella storia e il tempo non è una clessidra sul mobile di casa. È piuttosto un messaggio agostiniano che ci conduce sempre oltre. Un libro diverso rispetto a quelli precedenti? Forse sì.

Ma Tonino è diverso rispetto ai libri precedenti perché in queste pagine non c’è soltanto lo storico che conosce bene gli atti della storia ma c’è il sentiero di chi vuole sapere cosa c’è dentro il mistero insondabile della vita. Ecco perché è un narrato. E nel narrato l’uomo precipita nella bellezza. Soltanto precipitando nella bellezza possiamo dire che la bellezza ci salverà.

Conquistiamoli (o riprendiamoci quegli anni con il sorriso e la tenerezza) così quegli anni. Per noi ma anche per gli altri che non li hanno vissuti o per tanti altri che non possono immaginare che sognare Eva Kant, non la compagna di Adamo e neppure la moglie del filosofo, era sognare un pezzo di cielo. Forse ci sono simboli che non si perdono e restano legato ad una storia o ad una meteora.

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