Quando, nei primi anni Sessanta, la
città ionica assistette al nascere del
IV centro siderurgico italiano (allora Italsider), nessuno avrebbe
potuto
prevedere i cambiamenti che da quel momento si sarebbero verificati a
Taranto –
città fino ad allora di navigatori e pescatori – e nel tarantino.
L’impatto fu
determinante e da allora in Puglia il “progresso” prese il nome di
Italsider.
Migliaia di contadini cominciarono a lasciare la terra per lavorare
l’acciaio,
nacquero figure quasi mitologiche come quella del metalmezzadro – l’uomo
metà
operaio e metà contadino – e tutto il territorio intraprese la via dello
sviluppo industriale.
Da allora di tempo ne è passato davvero tanto, per 50 anni lo
stabilimento
siderurgico ha continuato a dominare l’orizzonte, come una montagna, un
colosso, un immenso “monumento”, una certezza luminosa. Decine di
migliaia di
operai provenienti da tutto il Sud Italia hanno legato le loro vite a
quella
dello stabilimento, sono invecchiati, hanno faticato fino alla pensione
tra
colate di metallo fuso e temperature inimmaginabili. Molti
di loro sono stati
sostituiti dai figli, cresciuti anche loro, come tutti noi d’altronde,
all’ombra della grande fabbrica.
Certo non tutto poteva essere perfetto, la
fabbrica era nata proprio a
ridosso dell’abitato, praticamente in periferia, e ciò non poteva non
comportare le gravi conseguenze che oggi assillano le coscienze di tanti
pugliesi.
Un monumento al lavoro,
sì
l’ILVA oggi rappresenta un “monumento a lavoro” o almeno così si sente
molto
spesso dire. Lo stabilimento è la prova lampante della VOCAZIONE
INDUSTRIALE DI
TARANTO, altra espressione ricorrente, molto conservativa, che trova non
pochi
facili riscontri nella grande zona industriale di Taranto.
Forse si tratta di semplici etichette, di
slogan ripetuti per convincersi
che le certezze del presente sono pur sempre meglio dei rischi del
cambiamento.
Comunque la si pensi, è difficile negare l’enorme contributo al
cambiamento
innescato dall’Italsider (anche se nel frattempo il mito ha lasciato il
posto
alla realtà, del “monumento” è rimasto più che altro un ricordo sbiadito
dall’attualità di un territorio intriso di veleni e della “vocazione”
una
cultura impoverita che stenta a riconoscersi in se stessa).
Nel libro
“Invisibili” (2011) Fulvio Colucci e Giuse Alemanno danno di
questa realtà una lettura in parte inedita, raccogliendo le
testimonianze e le
storie di vita di chi per tanti anni ha lavorato nel siderurgico. Un
punto di
vista emotivo, ricco di suggestioni, che fa vivere al lettore
un’esperienza
particolare, a contatto con i sentimenti degli operai e delle loro
famiglie. L’ILVA letta attraverso la lente
delle paure e
delle speranze dei suoi lavoratori, un ottimo punto di partenza per una
discussione sulla realtà attuale del nostro territorio.
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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis