Se pur qualcuno, dotato di buona volontà e di pazienza, leggerà questo scritto, si
accorgerà che a distanza di tanti anni non è cambiato molto… anzi… gli avvenimenti
e le cause si ripropongono con una razionalità ciclica disarmante, che
dovrebbe far riflettere tutti quei (presunti)“grandi”
che guidano le sorti dei popoli. Purtroppo, l’ignoranza della Storia è quell’enorme
macigno che la società si porta dietro!
Nel primo dopoguerra l'economia degli Stati Uniti ebbe un forte incremento, trainata soprattutto
dal settore automobilistico. Infatti, in America dal 1922 al 1929, la
produzione industriale aumentò del 64%, la produttività del lavoro del 43%, i
profitti del 76% e i salari del 30%. La forte differenza tra l'aumento dei
profitti e della produzione con quello dei salari creò un evidente squilibrio nelladistribuzione dei redditi.
A
questi squilibri, si aggiunse la convinzione che fosse possibile un
arricchimento facile, ovviamente non legato al lavoro o alla produzione, ma che
provenisse da audaci attività
speculative. Non furono posti limiti alle attività speculative delle
banche e della borsa. Il miraggio di un guadagno facile legato alle
speculazioni finanziarie attirava anche parte della popolazione a reddito
modesto, disposta a pagare alle banche interessi altissimi pur di tentare
facili guadagni. Si comperava per rivendere, senza preoccuparsi della qualità
dei titoli: all'aumento della domanda dei titoli si accompagnò quella delle
quotazioni. A tutto questo va aggiunta la responsabilità degli uomini d'affari, rappresentanti di
holding che detenevano portafogli di azioni che avevano interesse affinché i
corsi dei titoli si alzassero.
Questi
uomini effettuavano dichiarazioni
ottimistiche e spingevano i
risparmiatori all'acquisto
di titoli. L'aumento del valore delle azioni industriali, però,
non corrispondeva ad un effettivo
aumento
della produzione e della vendita di beni tanto che, dopo essere cresciuto artificiosamente
per
via della speculazione economica diffusasi a tutti i livelli in quegli anni, scese
rapidamente e
costrinse i possessori a una massiccia vendita, che provocò
il crollo della borsa.
A
partire dal giugno del 1929, la domanda interna americana si trova di fronte a
un calo e la crisi di
sovrapproduzione cominciò a colpire le
industrie fondamentali e le attività agricole.
Dopo
settimane di oscillazioni il 24 ottobre
1929 (giovedì nero) tredici milioni
di azioni vengono
vendute a prezzi bassissimi. Salvo
brevi periodi di ripresa, il ribasso continua fino all'8 luglio 1932.
Ma la
crisi, oltre che borsistica, industriale, agricola e commerciale, fu anche una crisi bancaria.
Infatti
sia l'industria che l'agricoltura erano fortemente indebitate con le banche.
Durante gli "anni
ruggenti",
le banche avevano ecceduto nei prestiti, nella previsione di una restituzione
regolare e
nella
fiducia nei risparmiatori che avrebbero dovuto accrescere i loro depositi.
Ma
con la crisi, un enorme numero di imprese non fu in grado di pagare i debiti
alle scadenze e intanto,
le banche, erano premute da coloro che avevano depositato soldi, e che ora
chiedevano la restituzione
delle somme depositate. Di conseguenza, trovatesi di fronte alla pressione dei depositanti
e all'impossibilità di far rientrare i prestiti, molte banche furono costrette a chiudere.
Inoltre,
per tutelarsi, gli USA, tesero a ritirare gli investimenti dal mercato
internazionale al quale si aggiunse
la politica doganale: la dura tariffa doganale che gli Stati Uniti adottarono
dal giugno del 1930,
ebbe caratteristiche duramente protezionistiche portandoli a scegliere la via
dell'isolazionismo o del
nazionalismo economico.
Come
tutte le crisi, anche questa scaricò nella massa i suoi effetti e il più
evidente fra tutti fu la disoccupazione
che fu aggravata dalle politiche deflazionistiche adottate per evitare
ripercussioni inguaribili nel bilancio dello stato come la riduzione degli stipendi, la tassazione diretta anche sui salari e la r iduzione della spesa pubblica.
Nel
1932 il numero dei disoccupati aveva
raggiunto i dodici milioni; più di 5000 banche
erano
fallite; 32000 grandi aziende commerciali avevano chiuso, il reddito nazionale si era dimezzato,
calando
da ottanta a quaranta miliardi di dollari in soli tre anni.
Il
crollo della borsa e la crisi economica
misero in cattiva luce il sistema capitalista. Questa sfiducia si
abbatté anche sul Partito Repubblicano,considerato il maggior rappresentante
del mondo capitalista, che alle elezioni
del 1932 fu sconfitto da quello Democratico,
rappresentato da Franklin Delano Roosevelt, sostenuto
soprattutto dai lavoratori.
Il
patto che Roosevelt presentò agli americani, il New Deal, presentava
alcuni importanti punti fermi:
1. La
decisione di affrontare la crisi tramite l'intervento dello Stato;
2.
L'impegno a dirigere le attività
economiche e a mediare i contrasti
di classe per dimostrare la compatibilità tra sistema capitalistico e regime democratico.
Insieme
a un gruppo di collaboratori competenti, Roosevelt mise in atto una serie di
provvedimenti:
1.
Per ridurre la disoccupazione, il governo promosse una vasta serie di lavori pubblici (costruzione di case,
strade, ponti, opere pubbliche) e fondò un Corpo Civile per la Conservazione
della Natura che impiegò circa3 milioni di giovani in opere di rimboscamento.
Fondò, inoltre, la Tennessee Valley Authority, che in circa vent’anni portò a
termine i lavori di sistemazione della valle del Tennessee, costruendo dighe e
centrali per fornire energia elettrica a costi più bassi di quelli praticati
dalle industrie private;
2.
Concesse sussidi agli agricoltori perché
diminuissero la produzione o perché distruggessero una parte del raccolto, per
evitare una caduta dei prezzi;
3.
Affidò all'Ente Nazionale per la Ripresa Industriale il compito di stimolare il
rilancio industriale e di formulare un "codice dei concorrenza leale" per mantenere i prezzi a un
livello adeguato. Dall'altra parte le aziende dovevano dare ai lavoratori un minimo salariale e non dovevano
aumentare il numero pattuito d'ore lavorative per settimana;
4.
Per trovare i fondi necessari a questa nuova politica, fondata sull'espansione
della spesa statale, si ricorse all'aumento
del debito pubblico: si accettò il deficit statale non pretendendo più
il pareggio ad ogni costo; si stampò più carta moneta in rapporto alla quantità
di riserve auree, creando un'inflazione controllata che svalutò il dollaro ma
permise una più facile esportazione.
Nel
1938 la politica del New Deal si concluse. Infatti, le minacce del nazismo e
dell'imperialismo nipponico, indussero il governo americano a moltiplicare le spese per gli armamenti, che da sole
riuscirono a far superare la crisi, tanto che la disoccupazione sparì
velocemente. Roosevelt venne rieletto nel 1940 e nel 1944 e tenne la presidenza
fin quasi al termine della Seconda Guerra Mondiale: morì, infatti, il 12 aprile
del 1945, alla vigilia della vittoria sul nazismo.
E’
amaro dirlo e scriverlo:ma la via d’uscita a quella crisi,provocata dal capitalismo sfrenato, fu
la tragedia della II Guerra Mondiale.
E oggi?
Sempre più bravo, è un piacere leggere e istruirsi su questi articoli.
RispondiEliminaContinui