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Che ora è ?
martedì 5 giugno 2012
FRA SERAFINO DALLE GROTTAGLIE
Donato Antonio D’Alessandro
(Grottaglie
1623 – Lecce 1689)
S. Francesco d’Assisi.
Mattonella maiolicata policroma del sec. XVII.
Francavilla Fontana, chiesa della Croce
Tra i
tanti srittori salentini che affollarono il Seicento letterario un posto merita
anche Fra Serafino dalle Grottaglie, figura autorevolmente riproposta anni fa
da Mario Marti nel volume sugli Scrittori Salentini di Pietà fra Cinque e Settecento
(Galatina 1992), ma che ha trovato attenzione anche in altri studiosi e
critici come Francesco Zerella, Francesco Tateo, Benigno Perrone.
Per
Marti si tratta di un autore interessante sul versante puramente letterario. Egli, originario
di un centro di tutto rispetto quanto a tradizioni culturali e religiose (si
pensi almeno al poeta Giuseppe Battista, al teologo del Concilio Tridentino
Antonio Marinaro, al canonista Giacomo Pignatelli, a S. Francesco de
Geronimo), riuscì ad acquisire una preparazione umanistico-filosofico-teologica
di primo piano, tale da imporlo all’attenzione di molti e da consentirgli una
versatilità di interessi testimoniata da una abbondante produzione letteraria:
poesia epica e melodrammatica, esegesi biblica, moralistica e politica.
Uno
scrittore che, secondo quanto
scrive Marti, «può essere (anzi dovrebbe essere) recuperato alla storia
letteraria nazionale in grazia dei tre più grossi impegni, giunti salvi fino
a noi: il poema del Mondo redento, i Lamenti sucri escritturali,
e infine L’idea della vera e buona politica togata e militare apparsa in
prima redazione (1680, Mollo, a Cosenza) col titolo di Lettere
scritturali, con le postille politiche». Opera, quest’ultima, che ha
tratto qualcuno in inganno, inducendo a considerare Donato Antonio D’Alessandro un politologo del
Seicento; in realtà si deve ricondurre anche questa esperienza in una dimensione puramente letteraria
«laddove ogni cosa è messa in versi e tutto gronda letteratura»; una tensione
letteraria piegata, però, al fine moralistico ed edificatorio, in sintonia peraltro
con l’atmosfera controriformistica
all’intemo della quale Fra Serafino si distingue per l’insistenza sul
dolore connaturato all’umana specie e sulla passione e morte del Redentore che
Marti definisce in maniera appropriata «passiocentrismo».
Ma
chi era Fra Serafino dalle Grottaglie?
Donato Antonio D’Alessandro (così egli si chiamava al secolo) nacque
appunto a Grottaglie il 17 settembre 1623 da Cataldo e da Isabella Quaranta. Fu
battezzato lo stesso giorno da D. Marcantonio Scardino essendo padrini D.
Claudio Antoglietta e Chiara Marangiulo.
Spinto
probabilmente dal conterraneo P. Ludovico La Grotta anch’egli francescano riformato
(che insieme con Giuseppe Battista, aveva curato la sua prima formazione culturale)
entrò nel 1641 tra i frati Minori
Osservanti Riformati compiendo il noviziato nel convento di Seclì. Fu poi guardiano
più volte del convento di Taranto, di Bitetto, lettore, definitore e custode.
Insegnò teologia a Lecce e Cosenza e a Roma fu teologo del Cardinal Antonio
Albertini. Fu perciò valente
lettore di teologia ed esimio predicatore. Scrive il P. Bonaventura da Lama che
egli «riuscì famosissimo nella predica, e di memoria sì grande, che dava
stupore a tutta l’udienza. La città di Brindisi, che spopolò tutta nel corso
della Quaresima, giurò di non aver inteso Uomo simile. Da qui fu mandato a
leggere nella Calabria Cosentina, e tornato cominciò di nuovo il suo corso; e
compito; fu di nuovo Lettor Teologo, e quanto eminente in questa facoltà,
tanto, e più nella predica, avendo predicato trenta e più Quaresimali».
Pietà. Tela di Andrea Cunavi (1614).
Grottaglie, chiesa del Carmine
Più che per la
dottrina teologica, o per le cariche ricoperte all'interno dell’Ordine, il suo
nome fu celebrato per la poesia e per la trattatistica politica.
Diede
alle stampe:
Il
martorio di Cristo, Lecce 1668;
I
Santuari più famosi del mondo, Lecce
1669;
Il mondo redento, Lecce 1670;
Lamenti
Sacri, e Scritturali, Lecce 1672, che
ebbe molte edizioni;
Orontio,
Giusto e Fortunato. Tragedia spirituale,
Bari 1674 (altra ediz. Lecce 1676);
Pietà. Tela di Andrea Cunavi
(1614). Grottaglie, chiesa del Carmine
Le
lettere scritturali con le postille politiche.Cosenza 1680;
Il
funeral di Cristo. Opera tragica con prologo, et intermedii musicali, e
frammenti di divozioni aggiunte, Lecce
1685;
L'idea
della vera, e buona politica togata, e militare consistente in proposte,
risposte, postille, e aforismi politici. Parte prima, seconda impressione. Lecce 1687.
Lasciò
anche dei manoscritti e cominciò a tradurre il suo Mondo redento in verso
latino; non ne ebbe però il tempo perché prevenuto dalla morte avvenuta a Lecce
il 28 agosto 1689.
Le numerose opere manifestano chiaramente i caratteri della sua poetica che si
possono sintetizzare in una rigida
visione controriformistica dell’arte e della letteratura come strumento
della religione (scrive l’A. nei “Lamenti Sacri”: se non mi voglion sentir
da Poeta, m’ascoltino da Predicante; le Sacre Istorie son venerabili anche in
bocca de’ malevoli, e io mi glorio più tosto che di Febo, esser seguace del
Crocifisso, desiderando piu tosto la divozione del cuore, che gli applausi
della lingua; e il revisore della stessa opera così commenta: In lucem
prodire censeo, ut clare ingenia videant sacram Scripturam, non Permessum esse debere veri cantus fontes, cioè “ritengo che (il libro) possa essere
stampato affinché gli ingegni vedano chiaramente che la Sacra Scrittura, non il
Parnaso, debba essere la fonte del vero canto”.
Inoltre, una cupa
e pessimistica visione della vita e della natura umana che può ricevere
la salvezza contemplando, piangendo e partecipando alla redenzione operata da
Cristo con la sua Passione; un’insistenza,
in verità, ossessiva sul tema del pianto, del lamento, della morte, del dolore,
del lugubre e del funereo; ma anche una tendenza a teatralizzare tutti gli aspetti della
vita umana.
Da
un punto di vista spiccatamente formale si evidenzia nelle sue poesie l’accentuazione
del barocchismo e del Concettismo, come
pure la grande facilità e felicità inventiva, segno di una naturale e spiccata predisposizione
alla letteratura.
Si
segnalano qui le seguenti opere:
1.Il mondo /
redento, / overo la Passione di Cristo / divisa in quindeci Pianti / dedicati
all’Illustrissimo Signore / Don Giovanni Cicinelli. / Del Padre Fra Serafino dalle Grottaglie / Lettore
di Sacra Teologia, e Diffinitore de’ Riformati di San Francesco. / In Lecce,
appresso Pietro Micheli, 1670. / Con licenza de’ Superiori. pp. 430.
E’
un prolisso poema eroico in ottava rima, d’imitazione tassesca, sulla Passione
di Nostro Signore Gesù Cristo. Sul frontespizio campeggia lo stemma dei
Cicinelli, nobile famiglia napoletana che in Terra d’Otranto avevano diversi
feudi e si potevano fregiare in particolare del principato di Cursi e del
ducato di Grottaglie. Sul foglio di risguardo una incisione piuttosto rozza si
nota Cristo che sostiene il mondo (PORTAVIT, REDEMIT), e su un ripiano
in evidenza è il calice la scritta: IL
MONDO REDENTO.
Piuttosto
breve e concisa la dedica dell’Autore al mecenate e letterato, nonché feudatario
del suo paese d’origine, D. Giovanni Cicinelli, il quale in una lusinghiera
epistola scritta in ottimo latino all’Autore da Grottaglie il 31 luglio 1670, ringrazia ed esprime la
sua ammirazione osservando come “…in questa età, della quale nessuna è più
ferace di lascive poesie, poiché la tua poesia viene alla luce religiosissima,
meritatamente si acquista le lodi perché composta tra le spine della
filosofia”.
Il Mondo redento (1670), antiporta.
Seguono
due sonetti elogiativi, dedicati al Cicinelli da Fra Serafino: “Fatto è Febo
campion, musico Marte” ossia il signore di Grottaglie è allo stesso tempo
guerriero e poeta…
Più
interessante tra i tanti sonetti (figurano quelli di Diego Paladini, Francesco Fatalò,
P. Ludovico dalle Grottaglie, P. Giacomo da Lequile, P. Antonio da Lecce, P.
Antonio da Tutino) è il sonetto che lo stesso Fra Serafino rivolge
alla propria opera:
Il Mondo redento (1670), antiporta.
L’AUTORE
parla al proprio libro
Figli dell’Alma mia sacri sudori,
Distillate dal cor rime dolenti,
Metri dirò soavi, e pur piangenti.
Flebili melodie, Pianti canori
Ite
a mercar affetti, e non onori,
Ad ammollir, non lusingar le menti,
Infocate d’ardore l’Anime algenti,
E sian vita del foco i vivi umori.
Lungi da voi le Muse; empie Sirene
C’hanno letal, se lusinghier il canto,
Lauri Pindo non habbia, acque Ippocrene;
Lagrimar sol vi basta, e vostro è il vanto
Aprir porti di pace in mar di pene,
Svelar Mondi di gioia in mezzo al PIANTO.
L’approvazione
dell’Ordine è fatta il 25 giugno 1670 da Fra Pietro da Grottaglie, predicatore,
lettore, ex ministro e vicario provinciale, in base alla relazione stilata da
Fra Ludovico dalle Grottaglie lettore generale di sacra teologia e da Frate
Antonio da Lecce anch’egli lettore generale di sacra teologia e Definitore dei
Riformati di S. Francesco; per questi nell’opera “vi s’ammirano concetti di grandissima devozione,
vaghe composizioni di scritture, e di sacra teologia, oltra la gravità del
verso, e la candidezza dello stile”.
L’Imprimatur
da parte del Vicario Generale Carlo Floravante è dell’8 luglio 1670, su
relazione di Fra Giovanni Crisostomo di Ragusa, minore osservante, lettore
generale di Teologia che scrive: “…ma per essa materia tanto pia v’ho ammirato eccessi di devozione,
sodezza di Teologia Vangelica, spiegata in un verso così elegante, che possiamo
ben dire esservi unito l’utile col diletto, il frutto col fiore, e tutto il
Parnaso esser trasferito nel Calvario…”.
2. Lamenti / Sacri, e Scritturali
/ spiegati con doppio senso / letterale, et / allegorico. / Opera utilissima a
Professori d’humane, / e divine Lettere, / Prose, e Poesie. / Divise in due
parti / Dedicate al reverendissimo Padre / Fra Francesco Maria Rini da Polizio
/ Generale di tutto l’Ordine serafico, De Padre Fra Serafino dalle Grottaglie,
/ Lettor di sacra Teologia, e Custode de’ Riformati / di San Francesco. /
in Lecce, appresso Pietro Micheli, 1672. / Con licenza de’ Superiori.; opera
che ebbe ben 5 edizioni (nella Biblioteca Comunale “Vergari” di Nardò, come ci
informa Marcello Gaballo (Signasti me,
Domine, II, Galatina 3003, p. 359), se ne conserva copia dell’edizione del 1684).
Qui
l’Autore propone molti casi tratti lacrimevoli occorsi a personaggi della
Sacra Scrittura, dell’Antico e del
Nuovo Testamento, e che spingono appunto a riflessivi Lamenti espressi in versi e in prosa (es. Adamo
mortificato, Caino sbandito, Noè agitato, Lot angosciato,
Giuseppe prigioniero, ecc… fino alla Maddalena
alla quale dedica anche una serie di sonetti).
Nella
lunga dedica l’Autore così conclude: “Nulladimeno non potendo in tutto
encomiarla con la penna, vengo a riverirla col cuore, porgendole quasi in voto,
o tributo
I lamenti sacri e scritturali (1672),
frontespizio della parte seconda
queste
poche fatiche, quali m’assicuro non saranno lacerate dalle lingue degli Aristarchi,
se portano in fronte il patrocinio del suo glorioso nome, che se forse a’
critici non piacessero i fiori delle mie poesie, doverebbono approfittarsi
almeno a i frutti de’ successi, che l’apporto della Sacra Scrittura…”
A
titolo di curiosità si riportano alcuni versi:
I lamenti sacri e scritturali (1672),
frontespizio della parte seconda
Maddalena lascia le pompe mondane
Fasti,
pompe, tesori a Dio, a Dio,
Prima che mi lasciate io v’abbandono,
Quanto donaste a me, tutto ridono,
Sia vostro il vostro, e tutto il mio
sia mio:
Ch’io
v’ami più, no, no; metto in oblio,
S’altro non siete al fin, che fumo, o
suono,
Già veggio il lampo, e non aspetto il tuono,
Non vo’, cadendo voi, che cada anch'io;
Cieca
è quell’alma, che v’apprezza o mira,
Il Mondo redento (1684)
di Fra Serafino dallle Grottaglie
Che giace al fondo, ancorché vada a
galla,
Gode poco, assai spera, ognor sospira.
Follia
dunque è seguir Mondo, che falla,
pace donar non può la rota, che gira,
E fa spesso al cader fallo una palla.
3. Il funeral / di Cristo. / Opera
tragica / con prologo, et intermedii /
musicali, e frammenti / di divozioni aggiunte. / Dedicate al
Reverendissimo padre / Don Mauro Leopardi Maia / Generale più volte dell’Ordine
de’ Padri Celestini, / Del padre fra Serafino dalle Grottaglie, Lettore di /
Teologia, e già Custode de’ Riformati / di San Francesco. / In Lecce, MDCLXXXV.
Appresso Pietro Micheli. Con licenza de’ Superiori. Dopo la tragedia spirituale
seguono i Frammenti di divozioni aggiunte, consistenti in componimenti
poetici in vario metro su argomenti e personaggi correlati alla Passione.
Il Mondo redento (1684)
di Fra Serafino dallle Grottaglie
Il Funeral
di Cristo è una rappresentazione sacra della Passione di Cristo, oggi
dimenticata ma che ebbe largo successo in Terra d’Otranto fino al secolo
scorso. Si tratta di una vera e propria tragedia spirituale scritta secondo i
canoni della poetica in tre atti, prologo e intermezzi musicali. L’opera
prevede vari momenti musicali ed è incentrata sul misterioso e tragico
intervallo che va dalla morte di Cristo alla Resurrezione: momento di alta
drammaticità e intensità spirituale che non poteva non colpire la religiosità
e il sentimento popolare nei giorni liturgicamente deputati e cioè il periodo
di passione e in particolare la settimana santa.
Il
contenuto segue il racconto evangelico, ma propone anche episodi e situazioni
create dalla fantasia fervida del frate francescano che secondava cosi i gusti
e le propensioni tipiche del Seicento. Il “Prologo” presenta le
personificazioni del Peccato, della Natura e della. Grazia che discutono sui
poteri del Maligno e di Dio; una disputa troncata nel momento in cui la Terra
si apre e rinchiude, tra fumi sulfurei, il Peccato. Seguono i due interludi
musicali dedicati rispettivamente agli episodi biblici di Abele, Caino e Dio, e
di Abramo, Isacco e
Il funeral di Cristo (1685).
Frontespizio
l’Angelo:
episodi allusivi del peccato e del sacrificio.
Il
primo atto si snoda attraverso 10 scene: si ode un gran rumore simile a
terremoto e compaiono in scena Lucifero e l'Angelo; il primo si vanta di aver
conseguito l’agognata vittoria, il secondo gli ricorda invece l’evidente
sconfitta che viene confermata dai due diavoli Asmodeo e Astarot: L’alma del
malfattor, che pende in Croce / sciolta dal corpo essangue / scesa è giù
nella Magion del Foco / e strugge tutto. L'anima di Giuda, intanto, si
dibatte nel rimorso e nella dannazione; non è però sola perché incontra Pilato
“frenetico con la penna e con la carta in mano” sconvolto per l’accordata
condanna del Messia.
Anche
Pietro, assalito da incubi e rimorsi per il tradimento, non prende pace ed è
tentato da Astarot di darsi morte come Giuda, ma un Angelo gli infonde speranza
e lo distoglie dall’empio proposito. Sul monte Calvario, ai piedi della Croce,
Maria, la Maddalena e Giovanni piangono la morte di Gesù e si danno conforto a
vicenda sicuri della Resurrezione: Sì, Sì, forza è che cessi il nostro duolo
/ S’il nostro amato Iddio dopo tre giorni / dalla tomba uscirà vivo e
festante / allor tanto maggior sarà la gioia, / quant’or grave la
noia... Si avvicinano però due soldati, Malco e Longino, che commentano
sprezzantemente la fine tristissima del figlio di Maria e si apprestano a
verificarne la morte con un colpo di lancia che Longino indirizza al costato;
segue la conversione di quest'ultimo, mentre Malco rimane nella sdegnosa
incredulità.
Il
secondo atto, composto da 11 scene, si apre con un monologo di Lucifero che non
vuol piegarsi alla sconfitta e medita insidie ai seguaci di Cristo. A Pietro e
Giovanni, impressionati dalla fine orrenda di Giuda, appaiono, sotto le mentite
spoglie di Elia e di Mosé, i diavoli Amodeo e Astarot che con suadenti parole
tentano di convincere i due apostoli che Gesù li ha ingannati e che quanto è
avvenuto sul Calvario è opera di Satana; interviene però un Cherubino a
smascherarli. Lucifero stesso tende un'insidia alla Maddalena che, sola,
piange con accenti delicati e affettuosi l’amato Maestro; ma basta il solo nome
di Gesù a far scoprire l’inganno. Anche Longino, ormai divenuto cristiano, deve
sopportare le insidie di Malco, di Pilato e dell'anima di Giuda. Sul Calvario
intanto Maria accoglie tra le sue braccia il Figlio morto e prorompe in una
preghiera pietosa e commovente, mentre Giovanni e la Maddalena cercano di
alleviare col loro affetto il suo grande dolore. Sopraggiungono Giuseppe e
Nicodemo a prendere il corpo santo per la sepoltura; a tale vista Maria
tramortisce dal dolore.
Il funeral di Cristo (1685). Frontespizio
Nelle dodici scene del terzo atto tornano più o meno
gli stessi personaggi. Pilato dà ordine a Malco di custodire con buona e
attenta scorta il sepolcro; allo scopo Asmodeo e Astarot prendono le spoglie
dei soldati Misandro e Isboset, e fanno una guardia serrata. Longino viene
fermato da Malco e dai falsi soldati che vogliono ucciderlo; ma un angelo sventa
il tentativo e li impegna in una lotta.
Anche la Maddalena, che vorrebbe accostarsi al
sepolcro, viene terrorizzata da Lucifero nelle vesti di un capitano ebreo; la
donna però resiste coraggiosamente, aiutata anche da Pietro e Giovanni intanto
sopraggiunti.
Longino
decide, nonostante venga contrastato dall’anima di Giuda, di abbandonare il
mondo e consacrarsi alla vita eremitica.
Cambia
scena e appaiono Pilato, con un pugnale tra le mani, Malco imbrattato di
sangue, Asmodeo e Giuda i quali tutti, costatata la sconfitta, inneggiano alla
morte e all'Averno, nonché allo scempio che del proprio corpo fanno Pilato e Malco:
“Con fasto sempiterno / viva l'Abisso omai, viva l'Inferno!”.
Siamo alle
ultime scene: Maria, sola nella casa, prega e pensa al Figlio che giace nel “gelido
sasso” meditando di recarsi a “quel venerabil loco”: Starò di fuora almeno
/ a rigarlo con pianti / a scaldarlo con baci / del mio fervido Amor
pegni veraci. Mentre Ella si reca al sepolcro è raggiunta da un Angelo, da
Giovanni e da Pietro che la confortano e la riportano in casa per attendere
fiduciosi l'imminente Resurrezione, e cantano: Sparite tristezze, / qual
nube, qual venti, / fuggite tormenti, / venite allegrezze / piovete
contenti, / se sorgerà giocondo / quel Dio sepolto a rallegrar il
Mondo.
Un testo, questo del Funeral di Cristo, che al
di là delle forzature barocche e di talune immagini per noi ingenue o
grottesche, rivelano nell'Autore una insospettata capacità di comunicazione
drammatica e di riflessione su un mistero arcano e sentito.
Pietà. Incisione xilografica
tratta da Il funeral di Cristo (1685)
È
proprio in quest’opera che si possono cogliere meglio inclinazioni, capacità
ed esiti contraddittori della poesia di Fra Serafino: da una congerie di
composizioni per lo più stanche e indigeste emergono e fanno capolino talvolta
alcuni
brani
non privi di grazia e disancorati in parte da un secentismo esasperato, come
nel primo intermedio musicale incentrato sull'episodio biblico di Abele
e Caino. Nel presentare la vita pastorale di Abele, sembrerebbe addirittura che
il D’Alessandro riesca ad anticipare temi e movenze cari all’Arcadia:
Solitudini beate
Ombre
liete, amati orrori,
che
quiete, che ristori
Ad
ogni alma dispensate,
Quanto
gode chi vi mira,
Chi v’aggira,
S'anco in vista dilettate,
Solitudini beate.
Bella vita d'un Pastore
A campi, a prati, a pascoli,
Condur via le pecorelle,
Che
scherzando, pascolando
Vanno
l'erbette in queste parti, in quelle,
Perché
poi da mamme intatte,
Prema
il latte,
Per
nodrirsi a tutte l'ore,
Bella
vita d'un Pastore.
Né
mancano espressioni d’una certa finezza psicologica e di sentimento, ad esempio,
i versi della scena sesta dell’atto secondo, in cui compare
Maddalena sola col vasetto in mano dell’unguento
O dell'amato, e singolar mio Bene
Bellezze
isquallidite; o del mio Sole
Tramontati
splendori; o del mio petto
Venenate
dolcezze, o mio tesoro,
E
come t’ho perduto, e pur non moro?
Caro
pegno dell’alma. Anima mia,
Come ti porto al core, e non ti
veggio?
E dove mai s’affisseran quest’occhi,
S’appagarsi non sanno in altro
oggetto?
Che più sperar, o desiar già resta
Al misero mio cuore, essendo morto
Se sparve al suo sparir ogni conforto?
Se partendo da me, da me partita
Fé dolce vita mia, per la mia vita?
Si,
si morir ti piacque,
Mia
carissima gioia,
E
solo per pietà; se già m’amasti.
Se
t’amai, Amor mio,
Perché
morendo tu, non morsi anch’io?
Talvolta
a colpire il lettore è la crudezza, anche lessicale, di scene orride, sulle
quali stagna un realismo graveolente e funereo, come nel Pianto universale
che conclude l’opera, a proposito della resurrezione dei morti:
Vista fu più tremenda
Disserrarsi
i sepolcri a un baleno.
Scoprir
nell'ampio seno
D'orror,
di puzza una Menfite orrenda
Ov'il guardo s'estenda
Era a mirar terribili cataste
Di putridi
carcami, e carni guaste. O nobili, o villane
Giacean spolpate l'ossa in mucchi
accolte
Tra le ceneri avvolte
De’ Regi, e
Contadini membra non sane.
O superbie
mondane
Una polve ci
copre, ed egual sorte
Confonde i
Scettri, e i Vincastri in morte.
Un
giudizio sull’arte poetica di Fra Serafino dalle Grottaglie è difficile dare,
sia per il complesso problema del Barocco in cui egli si inserisce
attivamente, sia per la poliedricità e molteplicità dei suoi interessi. Carmelo
Pignatelli, pur condannandolo, intravvede nei suoi versi qualche germe della
successiva restaurazione arcadica della letteratura o, quanto meno, un Barocco
ormai declinante e quindi meno parossistico.
Pietà. Incisione xilografica tratta da
Il funeral di Cristo (1685)
Noi
crediamo necessario tenere presenti i limiti della sua poetica, definiti
abbastanza chiaramente nella ricordata dedica del Mondo redento: «So che
là corre il Mondo, ove più versi di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, come
disse quel grand’Huomo, gustando di si fatti condimenti il palato corrotto d’un
Secolo appetitoso, ma havendo più tosto riguardo al frutto della divozione,
che al fiore del diletto, più presto all’edificazione degl’animi, ch’al prurito
dell’orecchie, ho tralasciato i Parnasi per li Calvarij, i fonti d’Ippocrene
per le piaghe di Cristo, e posposta la menzogna delle favole alla verità del
Vangelo, conformandosi la penna all’Abito...».
Una
preponderanza, quindi, dell’aspetto moralistico, cioè del prodesse sul delectare
che spesso condiziona l’inventiva e le indubbie capacità poetiche traducendosi spesso
in un rivestimento poetico di temi e interessi religiosi e spirituali che
stavano più a cuore al letterato francescano.
Nel
2003, all’interno del Fantiano Festival, il regista ed attore Alfredo Traversa
dedicò al teatro di questo prolifico letterato grottagliese una bella serata
culturale tenuta nell’affascinante giardino dell’eremo di S. Maria in
Campitelli di Grottaglie. La riproposizione di alcune opere e specialmente
della tragedia spirituale sul “Funeral di Cristo” potrebbe rivelarsi una
operazione culturale non peregrina, specie se si riuscisse a recuperare il
relativo commento musicale; ciò consentirebbe di valorizzare un Autore non
insignificante della nostra terra.
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