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lunedì 25 giugno 2012

Timothy Leary. La religione della coscienza

Dalla rivoluzione psichedelica ai rave un libro di M. Caterina Basile, grottagliese

Indiscutibile mito della controcultura americana, il dr. Timothy Leary è oggi noto principalmente come "profeta dell'LSD". In realtà, il suo pensiero non è così semplicemente riassumibile; per comprenderlo è necessario ripercorrerlo, in linee chiare es essenziali, al di là di qualunque fondamentalismo ideologico. Se, infatti, da un lato è indispensabile abbandonare ogni tipo di condanna preconcetta, dall'altro risulta controproducente lasciarsi andare ad un'esaltazione priva di obiettività alcuna. Psicologo, filosofo, scrittore di fama mondiale, Leary è stato designato come "eroe della coscienza americana" ed al contempo come "l'uomo più pericoloso d'America". La prima definizione è del poeta Allen Ginsberg, la seconda di Richard Nixon: si tratta di giudizi opposti che necessitano di una spiegazione. Obiettivo del presente libro è cercare di comprendere le ragioni di opinioni così divergenti, o, perlomeno, di fare chiarezza sulla vita, sul pensiero e sulle ripercussioni sociali e culturali di una delle figure più controverse e significative del XX secolo. 
Il libro è di 168 pagine, edito da Alpes Italia 

La prefazione del libro

Quando l’autrice del presente libro, Maria Caterina Basile, mi chiese di fare la sua tesi di laurea sulla vita e l’opera di Timothy Leary fui sorpreso, ma anche molto per­plesso nell’accettare di guidarla in quest’impresa. Le ragioni erano molteplici, a co­minciare dalla formazione di M. Caterina, decisamente orientata verso una sensibilità letteraria, essendo – d’altronde – una laureanda della facoltà di Lingue e Letterature Straniere, lontana quindi dalle tematiche psico-sociologiche, antropologiche e quan­t’altro comportava uno studio su un autore così complesso ed impegnativo.
Tuttavia, l’insegnamento di Sociologia delle Religioni di cui sono stato responsa­bile presso l’Università del Salento per più di un ventennio e devo dire, con la costante e preziosa collaborazione di Georges Lapassade, aveva sviluppato tra l’altro e preva­lentemente studi e ricerche proprio sulle tematiche legate alla transe ed alla dissocia­zione psichica, alle controculture ed all’uso di sostanze psicoattive. Mi piacque e mi convinse la decisa determinazione di M. Caterina, che accettò anche di sostenere un esame aggiuntivo, quello di Sociologia delle Religioni, a quelli già completati e con­clusi per il suo corso di laurea e con un’ottima media, quasi cento/dieci.
Solo dopo la brillante dissertazione della tesi ho saputo ed ho potuto apprezzare la sua sensibilità poetico-letteraria di cui, nel lavoro che qui vado presentando, vi è un riverbero, una forte traccia. La sua importanza, però, è soprattutto nella capacità di combinare gli studi, le teorie e l’esperienza di Timothy Leary a quelli sviluppati su quelle stesse tematiche da Georges Lapassade e dai  gruppi di ricerca che con lui col­laborarono in Italia, in particolare, come ho accennato, quello che gli si raccolse at­torno nell’università e nel territorio salentino, ma anche riviste come Altrove e ricercatori eccellenti come Roberto de Angelis, Marco Margnelli, Giorgio Samorini, Gilberto  Camilla, Leonardo Montecchi e tanti altri che qui è difficile elencare e ri­cordare. Una relazione particolarmente affettuosa, duratura e feconda, si realizzò tra noi e la cooperativa Sensibili alle foglie, con Renato Curcio, Nicola Valentino e Marita Prette. Essi furono e sono gli editori di riferimento, quasi esclusivi, dei lavori di Ge­orges Lapassade e del suo entourage italiano e dei suoi allievi francesi.
Premesso tutto ciò e volendo entrare brevemente nel merito delle questioni poste da questo saggio, mi piace partire da Friedrich Nietzsche e da ciò che considerava “l’errore fondamentale” rispetto al problema della coscienza e del suo rapporto con la vita complessiva. Dice Nietzsche: «L’errore fondamentale sta soltanto in questo,  che noi, invece di comprendere la coscienza come strumento e particolarità nella vita complessiva,  la poniamo come criterio della vita, come supremo stato di valore della vita: è questa l’erronea prospettiva dello “a parte ad totum” […]» (in F. Nietzsche, La distruzione delle certezze, a cura di Sergio Moravia, La Nuova Italia, 1982).
Il continuo richiamo di Timothy Leary all’uso di sostanze psichedeliche, soprat­tutto LSD, ai fini di “un’espansione”, un allargamento della coscienza, fino a pro­spettare questo processo nella dimensione mistico-religiosa, è forse il limite, “l’errore”, individuato da F. Nietzsche, in cui è incorso anche il grande T. Leary. D’al­tronde, nella prospettiva Hegeliana di un primato assoluto della “coscienza e dell’au­tocoscienza” si sono mosse generazioni di grandi pensatori e ricercatori del novecento, basti pensare alla scuola di Francoforte, per esempio ad Adorno e Hor­keimer, quando in Dialettica dell’illuminismo, immaginano una colonizzazione di massa delle coscienze e dei corpi ad opera dell’industria culturale e dello sfruttamento ca­pitalista.
Oggi, dopo M. Foucault, ci si domanda addirittura come “il potere” nell’accezione relazionale e microfisica, possa influenzare, se non determinare affatto la vita nel suo complesso: la biopolitica ed il biopotere, appunto. E qui, il corpo come “l’anima” sono considerati una, pur se complessa, “costruzione sociale”.
Se, dunque il limite maggiore di T. Leary e più in generale della psichedelica degli anni sessanta è stato forse quello di esaltare il ruolo dell’ “espansione della coscienza”, fino a farne lo scopo principale della vita nel suo complesso, il loro merito è stato senza dubbi quello di permettere una sperimentazione ed una ricerca del tutto nuova ed inusitata sulla coscienza e sulla psiche nel loro complesso rapporto con il corpo, cioè sulla dimensione psicosomatica e soprattutto sugli stati modificati di coscienza, sui dispositivi dissociativi che li permettono e li inducono.
Di questi studi e di questi passaggi dà conto il lavoro di M. Caterina Basile, af­frontando con Hilgard e Georges Lapassade la questione dissociativa come espe­rienza ordinaria e non patologica, della normalità della vita quotidiana e segnalando per finire i limiti e le aberrazioni della neopsichedelia, con il consumo insensato e di massa di sostanze psicoattive, ma anche le incongruenze ed i limiti delle politiche proibizioniste che la accompagnano.
Le esperienze dissociative, per concludere, al di là dell’uso o meno di sostanze psicoattive oppure dell’ipnosi, possono rappresentare una risorsa vitale ed anche mo­menti di resistenza, come nel caso della tortura e/o della deprivazione sensoriale, sempre che si impari a riconoscerne e ad usarne i dispositivi autonomamente.
Diceva Marco Margnelli (in Estasi, Sensibili alle foglie, Roma, 1996) che bisognava insegnare le tecniche dell’estasi a tutti, nella scuola e fin da bambini. Esagerava? Forse! Tuttavia a Timothy Leary ed al movimento psichedelico bisogna riconoscere d’avere aperto nuove strade alla ricerca ed alla sperimentazione, con l’uso delle sostanze e dell’ipnosi, cosa che negli USA ed anche altrove è possibile e praticato come normale prassi di ricerca universitaria, mentre in Italia nella comunità scientifica, soprattutto universitaria, c’è una specie di tacita interdizione, un’ipocrisia silenziosa e colma di paure e di barriere moralistiche che non permettono di fare ricerca sperimentale e di laboratorio su questi temi e con ciò non aiutano né la scienza, né la coscienza, né il  corpo e neppure “la vita nel suo complesso” ad emanciparsi, comunque a difendersi, a resistere, a sognare di liberarsi dal nuovo leviatano che va sotto il nome di biopo­litica e biopotere.

Pietro Fumarola

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