Dalla
rivoluzione psichedelica ai rave
un libro di
M. Caterina Basile, grottagliese
Indiscutibile mito della controcultura americana, il dr.
Timothy Leary è oggi noto principalmente come "profeta dell'LSD". In
realtà, il suo pensiero non è così semplicemente riassumibile; per
comprenderlo è necessario ripercorrerlo, in linee chiare es essenziali,
al di là di qualunque fondamentalismo ideologico. Se, infatti, da un
lato è indispensabile abbandonare ogni tipo di condanna preconcetta,
dall'altro risulta controproducente lasciarsi andare ad un'esaltazione
priva di obiettività alcuna. Psicologo, filosofo, scrittore di fama
mondiale, Leary è stato designato come "eroe della coscienza americana"
ed al contempo come "l'uomo più pericoloso d'America". La prima
definizione è del poeta Allen Ginsberg, la seconda di Richard Nixon: si
tratta di giudizi opposti che necessitano di una spiegazione. Obiettivo
del presente libro è cercare di comprendere le ragioni di opinioni così
divergenti, o, perlomeno, di fare chiarezza sulla vita, sul pensiero e
sulle ripercussioni sociali e culturali di una delle figure più
controverse e significative del XX secolo.
Il libro è di 168 pagine, edito da Alpes Italia
Quando l’autrice del presente libro,
Maria Caterina Basile, mi chiese di fare la sua tesi di laurea sulla
vita e l’opera di Timothy Leary fui sorpreso, ma anche molto perplesso
nell’accettare di guidarla in quest’impresa. Le ragioni erano
molteplici, a cominciare dalla formazione di M. Caterina, decisamente
orientata verso una sensibilità letteraria, essendo – d’altronde – una
laureanda della facoltà di Lingue e Letterature Straniere, lontana
quindi dalle tematiche psico-sociologiche, antropologiche e quant’altro
comportava uno studio su un autore così complesso ed impegnativo.
Tuttavia,
l’insegnamento di Sociologia delle Religioni di cui sono stato
responsabile presso l’Università del Salento per più di un ventennio e
devo dire, con la costante e preziosa collaborazione di Georges
Lapassade, aveva sviluppato tra l’altro e prevalentemente studi e
ricerche proprio sulle tematiche legate alla transe ed alla
dissociazione psichica, alle controculture ed all’uso di sostanze
psicoattive. Mi piacque e mi convinse la decisa determinazione di M.
Caterina, che accettò anche di sostenere un esame aggiuntivo, quello di
Sociologia delle Religioni, a quelli già completati e conclusi per il
suo corso di laurea e con un’ottima media, quasi cento/dieci.
Solo
dopo la brillante dissertazione della tesi ho saputo ed ho potuto
apprezzare la sua sensibilità poetico-letteraria di cui, nel lavoro che
qui vado presentando, vi è un riverbero, una forte traccia. La sua
importanza, però, è soprattutto nella capacità di combinare gli studi,
le teorie e l’esperienza di Timothy Leary a quelli sviluppati su quelle
stesse tematiche da Georges Lapassade e dai gruppi di ricerca che con
lui collaborarono in Italia, in particolare, come ho accennato, quello
che gli si raccolse attorno nell’università e nel territorio salentino,
ma anche riviste come Altrove e ricercatori eccellenti come
Roberto de Angelis, Marco Margnelli, Giorgio Samorini, Gilberto
Camilla, Leonardo Montecchi e tanti altri che qui è difficile elencare e
ricordare. Una relazione particolarmente affettuosa, duratura e
feconda, si realizzò tra noi e la cooperativa Sensibili alle foglie,
con Renato Curcio, Nicola Valentino e Marita Prette. Essi furono e sono
gli editori di riferimento, quasi esclusivi, dei lavori di Georges
Lapassade e del suo entourage italiano e dei suoi allievi francesi.
Premesso
tutto ciò e volendo entrare brevemente nel merito delle questioni poste
da questo saggio, mi piace partire da Friedrich Nietzsche e da ciò che
considerava “l’errore fondamentale” rispetto al problema della coscienza
e del suo rapporto con la vita complessiva. Dice Nietzsche: «L’errore
fondamentale sta soltanto in questo, che noi, invece
di comprendere la coscienza come strumento e particolarità nella vita
complessiva, la poniamo come criterio della vita, come
supremo stato di valore della vita: è questa l’erronea prospettiva
dello “a parte ad totum” […]» (in F. Nietzsche, La
distruzione delle certezze, a cura di Sergio Moravia, La Nuova
Italia, 1982).
Il continuo richiamo di Timothy Leary all’uso di
sostanze psichedeliche, soprattutto LSD, ai fini di “un’espansione”, un
allargamento della coscienza, fino a prospettare questo processo nella
dimensione mistico-religiosa, è forse il limite, “l’errore”,
individuato da F. Nietzsche, in cui è incorso anche il grande T. Leary.
D’altronde, nella prospettiva Hegeliana di un primato assoluto della
“coscienza e dell’autocoscienza” si sono mosse generazioni di grandi
pensatori e ricercatori del novecento, basti pensare alla scuola di
Francoforte, per esempio ad Adorno e Horkeimer, quando in Dialettica
dell’illuminismo, immaginano una colonizzazione di massa delle
coscienze e dei corpi ad opera dell’industria culturale e dello
sfruttamento capitalista.
Oggi, dopo M. Foucault, ci si domanda
addirittura come “il potere” nell’accezione relazionale e microfisica,
possa influenzare, se non determinare affatto la vita nel suo complesso:
la biopolitica ed il biopotere, appunto. E qui, il corpo come “l’anima”
sono considerati una, pur se complessa, “costruzione sociale”.
Se,
dunque il limite maggiore di T. Leary e più in generale della
psichedelica degli anni sessanta è stato forse quello di esaltare il
ruolo dell’ “espansione della coscienza”, fino a farne lo scopo
principale della vita nel suo complesso, il loro merito è stato senza
dubbi quello di permettere una sperimentazione ed una ricerca del tutto
nuova ed inusitata sulla coscienza e sulla psiche nel loro complesso
rapporto con il corpo, cioè sulla dimensione psicosomatica e soprattutto
sugli stati modificati di coscienza, sui dispositivi dissociativi che
li permettono e li inducono.
Di questi studi e di questi passaggi
dà conto il lavoro di M. Caterina Basile, affrontando con Hilgard e
Georges Lapassade la questione dissociativa come esperienza ordinaria e
non patologica, della normalità della vita quotidiana e segnalando per
finire i limiti e le aberrazioni della neopsichedelia, con il consumo
insensato e di massa di sostanze psicoattive, ma anche le incongruenze
ed i limiti delle politiche proibizioniste che la accompagnano.
Le
esperienze dissociative, per concludere, al di là dell’uso o meno di
sostanze psicoattive oppure dell’ipnosi, possono rappresentare una
risorsa vitale ed anche momenti di resistenza, come nel caso della
tortura e/o della deprivazione sensoriale, sempre che si impari a
riconoscerne e ad usarne i dispositivi autonomamente.
Diceva Marco
Margnelli (in Estasi, Sensibili alle foglie, Roma, 1996) che
bisognava insegnare le tecniche dell’estasi a tutti, nella scuola e fin
da bambini. Esagerava? Forse! Tuttavia a Timothy Leary ed al movimento
psichedelico bisogna riconoscere d’avere aperto nuove strade alla
ricerca ed alla sperimentazione, con l’uso delle sostanze e dell’ipnosi,
cosa che negli USA ed anche altrove è possibile e praticato come
normale prassi di ricerca universitaria, mentre in Italia nella comunità
scientifica, soprattutto universitaria, c’è una specie di tacita
interdizione, un’ipocrisia silenziosa e colma di paure e di barriere
moralistiche che non permettono di fare ricerca sperimentale e di
laboratorio su questi temi e con ciò non aiutano né la scienza, né la
coscienza, né il corpo e neppure “la vita nel suo complesso”
ad emanciparsi, comunque a difendersi, a resistere, a sognare di
liberarsi dal nuovo leviatano che va sotto il nome di biopolitica e
biopotere.
Pietro Fumarola
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