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domenica 10 giugno 2012

La solitudine: malattia e conseguenza.



Sul Corriere della Sera on line del 4 maggio 2012, Dario di Vico titolava, a proposito del sequestro presso l’Agenzia Entrate di Romano di Lombardia: “Tanti urlatori ma è saltata ogni solidarietà. La vicenda di Romano di Lombardia è la dimostrazione che la società vive uno stress senza precedenti”
Il mondo attuale,  se da un lato ha portato a conquiste positive (individualismo, maggiore libertà), dall'altro ha richiesto un costo altissimo in termini di solitudine, vuoto di ideali e incertezza collettiva.
Se una volta la solitudine era un lusso di poche persone privilegiate, artisti, santi, poeti, intellettuali ecc., oggi, per l’uomo della civiltà industriale, la solitudine è diventata sinonimo di malattia sociale. Molti dicono che sia il più grosso flagello del mondo moderno. Mai l’uomo si è sentito così vicino fisicamente agli altri e così distaccato, così solo, anonimo. O per lo meno l’uomo, mai come nella nostra epoca, ha preso coscienza della propria solitudine come incapacità di comunicare con gli altri. Lavoriamo insieme, viviamo  insieme, viaggiamo insieme, preghiamo e pecchiamo insieme, ma non “si è” insieme. Siamo diventati folla anonima. Sempre meno l’uomo è qualcuno, siamo diventati numero, scheda. Anche nel momento tragico delle malattie e della morte. Forse la sensazione di sentirsi insieme senza “essere” insieme è la più terribile solitudine. Una solitudine che addirittura ci spinge, paradossalmente, a desiderare e amare la solitudine, cioè la solitudine anche fisica.
Questa solitudine del collettivo, che l'uomo ha sperimentato in momenti drammatici quali i campi di concentramento, le guerre, le carceri, gli ospedali, oggi è diventata realtà quasi in ogni circostanza della vita moderna. Questo tormento l'uomo lo avverte continuamente, anche in famiglia. Appartamenti piccoli costruiti non a misura d'uomo ma della speculazione edilizia ci costringono a vivere senza uno spazio di intimità personale. E' sintomatico che per tanti esseri umani di città l'unico spazio personale sia il bagno, che convertono in sala di lettura.
Viviamo in bilico su questo paradosso: siamo malati di solitudine e nello stesso tempo soffriamo perché non troviamo né il tempo né lo spazio per restare soli. Si tratta, come possiamo ben osservare, di una condanna tremenda. "Amiamo la compagnia, anche se questa è rappresentata soltanto da una candela accesa". Il fatto è che come esseri umani, non siamo ancora perfettamente realizzati, siamo pellegrini in una terra che ci è stata data in eredità ma che sentiamo ostile. Ma allora l'esigenza di comunicabilità e d'incontro camminano insieme con l'esigenza di solitudine? L'essere insieme ci risveglia la nostalgia della solitudine e la solitudine ci acutizza il desiderio dell'incontro? Mi viene da dire che forse è vero che amiamo ciò che ancora non abbiamo. Le città affollatissime, simili a deserti allucinati; i palazzi e i grattacieli, con decine e centinaia d’appartamenti, simili a spettrali torri popolate da fantasmi; gli autobus, i tram, i veicoli privati che sfrecciano nel buio della notte, simili a fuggevoli sprazzi di luce, che si perdono poi subito nel caos tentacolare, mentre subito degli altri sopraggiungono senza pose, senza pace, mai: si direbbe un brutto sogno…
  Eppure si era meno soli quando si era di meno; quando si era meno numerosi, meno concentrati, meno affollati.Viviamo in una società fondata sul profitto, sul consumo, sulla produzione, sulla divisione del lavoro, sui valori che dividono gli uomini, sulle classi (anche se tendenzialmente dagli anni ottanta in poi si è cercato di attenuare il problema), sulla violenza. Tutte componenti della solitudine.
Perché, se siamo stati creati per la logica dell'incontro, una società fondata sui valori del successo ad ogni costo, della sessualità senza l'ideale dell'amore, della sopraffazione e dell'efficienza ci  obbliga a sotterrare le nostre esigenze più intime. Siamo una società che ci obbliga a metterci di fronte all'altro come concorrente, come antagonista, come straniero, con tante maschere, anziché come esseri umani simili a noi, chiamati ad incontrarci per quello che siamo e non per quello che ci fanno essere. Viviamo in una società individualistica condannata, per sopravvivere,a una situazione che non si sente come destino comune, che è di essere uniti e non in lotta perenne con gli altri.Il timore di perdere il lavoro, il benessere raggiunto o il posto nel treno dell'efficienza ci costringe a vivere lacerati fra l'esigenza di quiete e di pace e l'urgenza di correre sempre, di non avere mai tempo per l'amore, per la poesia, l'amicizia. Viviamo sempre col piede sull'acceleratore, sempre sulla strada La solitudine sfortunatamente non ha età. Ce la troviamo in tutto l'arco della nostra esistenza. Nasce con noi e ce la portiamo nella tomba a meno che....questo è un argomento che tratteremo in seguito, per ora limitiamoci al tema in oggetto.
I due momenti di più profonda solitudine per noi umani sono infatti la nascita e la morte. Questi istanti di suprema solitudine si esprimono sensibilmente con un urlo o un pianto come a significare lo choc dell'abbandono estremo.
Ogni bambino nasce piangendo. Dal caldo umido e protettivo dell'utero materno, che lo ha avvolto per nove mesi offrendogli, attraverso il tatto, la prima e più importante esperienza vitale, si trova di colpo solo.
Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene. “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante cacca del mondo!   Le cose che possiedi alla fine ti possiedono.Respingo i principi base della civiltà, specialmente l'importanza dei beni materiali.Sentite balordi, non siete speciali, non siete un pezzo bello, unico e raro. Siete materia organica che si decompone come ogni altra cosa. Siamo la canticchiante e danzante cacca del mondo. Facciamo tutti parte dello stesso mucchio di letame. Omicidi, crimini, povertà. Queste cose non mi spaventano. Quello che mi spaventa sono le celebrità sulle riviste, la televisione con cinquecento canali, il nome d'un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il viagra, poche calorie”.
Come non concordare con Salvatore Quasimodo? 
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.



1 commento:

  1. caro professore, sono un tuo amico e forse facilemente individuabile.Che tu scrivi benissimo non ci sono dubbi, solo chi non ti conosce poteva non saperlo.Scrivi in maniera bella e chiaramente e così trasformi le cose difficili in facili e le fai capire a tutti.Dote professionale di quell'ottimo professore che sei.Sto raccogliendo tutti i tuoi articoli e li mando anche ad amici lontani su face book.Una domanda e un invito:perchè non organizzi una conferenza su un tema trattato o da trattare? Lo fanno tutti anche i fessi, non vedo perchè non lo devi fare tu che sei un esperto.
    Un saluto ciao

    C.T.

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Pierpaolo Pasolini
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ammazzato nel novembre del 1975

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