Che ora è ?

martedì 5 febbraio 2008

Ma ieri c'è stata davvero l'aggressione al sindaco?


«C'è chi nasconde i fatti perché non li conosce, è ignorante, impreparato, sciatto e non ha voglia di studiare, di informarsi, di aggiornarsi.

C'è chi nasconde i fatti perché ha paura delle guerele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio e attirano i fulmini dell'editore, stufo di pagare gli avvocati per qualche rompicoglioni in redazione.

C'è chi nasconde i fatti perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti, dove s'incontrano sempre leader di destra e leader di sinistra, controllori e controllati, guardie e ladri, puttane e cardinali, principi e rivoluzionari, fascisti ed ex lottatori continui, dove tutti sono amici di tutti ed è meglio non scontentare nessuno. C'è chi nasconde i fatti perché contraddicono la linea del giornale. C'è chi nasconde i fatti anche a se stesso perché ha paura di dover cambiare opinione.

C'è chi nasconde i fatti perché così, poi, magari, ci scappa una consulenza col governo o con la Pai o con la regione o con il comune o con la provincia o con la camera di commercio o con l'unione industriali o col sindacato o con la banca dietro l'angolo.

C'è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva Victor Hugo, "c'è gente che pagherebbe per vendersi"».

Marco Travaglio

3 commenti:

  1. Tormenti e poi tradimenti
    La legislatura dei tre cilici
    Dalla lite Luxuria-Gardini alle lacrime di Cusumano
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    E chi se la scorda, questa legislatura dei tre cilici? Breve ma intensa. Penitenziale e insieme sadomaso. Ruotata tutta intorno a tre sofferenze. Il cilicio di Paola Binetti, il cilicio di Franco Turigliatto, il cilicio del popolo di sinistra. Tre cilici diversi. Portati con spirito diverso. Paola Binetti, psicologa vicina all'Opus Dei, convinta che l'omosessualità sia «una malattia da curare», sarà ricordata soprattutto per la sua invocazione al cielo quel giorno in cui si apprestava a negare la fiducia al «suo» governo piuttosto che votare l'articolo che puniva chi «incita a commettere o commette atti di discriminazione» fondati su religione o tendenze sessuali: «Mi auguro solo che lo Spirito Santo scenda su quest'aula perché non so proprio se, alla fine, potrò votare il decreto». Votò contro. Decisa a sopportare fino in fondo le ironie dei compagni della maggioranza intorno a un paio di interviste in cui aveva confidato di dormire su una tavola di legno e di portare appunto il cilicio: «La vita di ognuno di noi è esposta a prove e difficoltà e ci vuole un certo "allenamento". Le privazioni, lo spirito di mortificazione, un domani mi aiutano ad affrontare cose più grandi».


    Vladimir Luxuria (Ansa)
    E fa male? «Non più che portare il busto come facevano le donne in altri tempi. O girare in inverno con l'ombelico di fuori». Sempre meglio, aveva precisato successivamente, «che i tacchi a spillo». «Il sadomasochismo è un modo di godere. Purché ci sia libera scelta», commentò feroce Franco Grillini, storico leader gay e deputato della stessa Unione. E mai come in quel momento, in un Paese come il nostro che vede atei devoti come Marcello Pera corteggiare il Papa e cristiani ricchi di fede come Oscar Luigi Scalfaro battagliare in difesa della laicità, si è visto quanto fosse assurdo tenere insieme tutte le anime di un centrosinistra che per anni, all'opposizione, s'era illuso che per fare squadra bastasse l'antiberlusconismo. Come se questo potesse tenere insieme un teorico delle liberalizzazioni come Pierluigi Bersani e un no-global come Francesco Caruso, capace di portare alla Camera due finte molotov e marchiare Tiziano Treu e il povero Marco Biagi come «assassini».

    Il cilicio di Franco Turigliatto era un cilicio autoflagellatorio sul genere di quello di Mara «d'Arco» Malavenda, la pulzella rossa di Pomigliano, che per il senso di colpa di chiamarsi Assunta tra i disoccupati aveva cambiato nome e nella legislatura ulivista scaricava in Parlamento decine di migliaia di emendamenti tesi a intralciare il governo della sinistra «borghese» traditrice del proletariato. Affetto da sensi di colpa operaisti dolorosi come una colica addominale e più cupo di un vedovo in lutto stretto, Turigliatto fu il primo ad abbattere Prodi, sparandogli contro sulla missione di pace in Afghanistan. E spiegò tra i sospiri a Jacopo Jacoboni de La Stampa che lui non poteva porsi il problema della precarietà del governo: «Non ho mai avuto uno stipendio regolare, io. La pensione non l'avrò neanche, credo; quella vita senza certezze la conosco bene perché l'ho vissuta su di me». Al che, perfida, arrivò una lettera del rifondarolo Rocco Papandrea che spiegava come il compagno, dopo aver lavorato al Comune di Torino «con un contratto dirigenziale», fosse stato sistemato in Regione fin dal '99: «Fui io ad assumerlo e firmare il contratto...». Espulso dal partito, sospirò. Durissimo, purissimo, levissimo.Come nel '98 lo erano stati i trotzkisti di Livio Maitan: «Oooh! Erano decenni che aspettavo di abbattere un governo borghese!».

    Il terzo cilicio l'ha portato per due anni, patendo e sanguinando a ogni stazione del calvario, dalle spaccature sulla base di Vicenza a quelle sui Dico, il popolo ulivista. Quello che aveva riempito il Circo Massimo con Cofferati ed era andato entusiasta a votare alle primarie per Prodi e per anni aveva sognato «un grande governo» come quello promesso dal Professore per ritrovarsi con una maggioranza scheletrica e un governo grasso. Di cotica pesante. Così obeso, con quei 102 ministri e viceministri e sottosegretari, da imbarcare panchinari della politica provinciale come il mitico Pietro Colonnella, che si vantava sul sito governativo d'essere stato protagonista, come presidente della Provincia ascolana, dell'«apertura del Traforo di Forca Canapine» e dell'avvio dei lavori per il «polo scolastico del Pennile di Sotto».

    Come dimenticarle, certe istantanee? Fausto Bertinotti che, eletto presidente della Camera, solca il Transatlantico tra un'ala di commessi come non avesse fatto altro in vita sua e si installa dedicando la vittoria «alle opevaie e agli opevai». E poi lo schiamazzo a Montecitorio di Elisabetta Gardini, che esce stravolta dai bagni femminili, dopo averci incrociato la deputata transgender Vladimir Luxuria manco se l'avesse palpeggiata un maniaco: «Sono entrata, l'ho visto e l'ho vissuta come una violenza, una violenza "sessuale", mi sono proprio sentita male». Per non dire di Clemente Mastella, che appena conquista la poltrona di ministro della Giustizia («Vedrete», confida Prodi ai cronisti, «Sarà una sorpreeesa! ») prende di petto la catastrofe di dieci milioni di processi arretrati spostando la sede della scuola superiore per la magistratura da Catanzaro alla «sua» Benevento. Nobili motivi: «Avere la presenza di 2500 magistrati ogni settimana significa persone che vengono qua. Alloggeranno negli alberghi della città, mangeranno nei ristoranti della città, andranno a cena... Un indotto interessante... Qualcuno comprerà un vestito, comprerà una camicia, comprerà un prodotto dell'artigianato locale...».


    E come scordare Sergio De Gregorio? Neanche il tempo d'essere eletto tra gli anti- berlusconiani diepietristi e, in cambio della poltrona di presidente della Commissione Difesa, diventa un berlusconiano di ferro e mette a disposizione del nuovo capo il suo micropartito, «Italiani nel Mondo», nato dal commercialista cambiando la ragione sociale di un grossista di ombrelli e pellami.

    E Luigi Pallaro? El hombre de la pampa, arrivato direttamente dall'Argentina, si presenta con un misterioso paso doble: non è di destra, non è di sinistra, che farà? «Non butterò mai giù io un governo». E il giorno della mancata spallata sulla politica estera mantiene la promessa. Regalando a Francesco Storace l'opportunità di una battuta: «Du' ggiorni perzi a parla' der monno e bbastava chiede' a Pallaro: 'a Palla', che voti?». E resterà la legislatura di Vincenzo Visco, accusato d'essere un «Vampiro delle tasse» e di avere rimosso il generale Roberto Speciale non perché si faceva portare sulle Dolomiti i branzini appena pescati ma perché insisteva a volere indagare sul caso Unipol. E quella delle polemiche sui costi e i privilegi della politica, polemiche ereditate dal passato ma ravvivate da episodi come quello di Gustavo Selva che, per aggirare il traffico bloccato e raggiungere La 7 per una comparsata, al posto di un taxi prese un'ambulanza. E quella delle risse volgarissime su Rita Levi Montalcini e gli altri senatori a vita, bollati da maturi settantenni come «senatori pannoloni». Insomma, una legislatura tragica e ridicola, drammatica e insensata, di buone volontà e esasperanti furbizie, di virtuosi risparmi e sventurati sprechi. E chiusa così come si doveva chiudere. Con quello svenimento in diretta dell'ex mastelliano Stefano Cusumano, crollato su un fianco tra gli insulti e gli sputi come l'avesse fulminato Giove pluvio. Un colpo di teatro perfetto, per un teatrino.

    Gian Antonio Stella


    UN APPLAUSO!!!!!!!!!!!!!!!!!

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  2. la peggior amministrazione di grottaglie, bagnardi è un'uomo senz'anima....

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  3. lasciate stare l'anima.... date a Cesare cio' che e' di cesare, a Dio cio' che e' di DIO....

    RispondiElimina

blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis

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Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà,
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scrittore
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