Non guardo con sfavore al progresso scientifico,ci mancherebbe, sarei un folle, dei cui benefici godo come essere umano e le cui acquisizioni teoretiche cerco di introdurre nella mia modalità di vedere il mondo (filosofia e teologia) e di coltivare la dimensione contemplativa della vita (spiritualità). Però diffido della scienza e della tecnologia quando manifestano un complesso di superiorità culminante in una sorta di gelosa autarchia che si può riassumere così: gli scienziati hanno il potere di intervenire sulla natura umana, l'umanità si deve fidare perché grazie a loro la vita sarà migliore.
Ho fatto questa riflessione leggendo l'articolo di Umberto Veronesi che parlava del futuro che ci aspetta. Egli riconosce che di fronte agli scenari aperti dalla scienza e dalla tecnologia "oggi siamo per lo più spiazzati eticamente e giuridicamente", ma fa capire che ormai non è più possibile tornare indietro, e afferma: "L'incertezza è soltanto quando e come, e la sfida è fare in modo che sia realizzata a puro vantaggio dell'uomo". Il futuro non è solo scienza
Non è così scontato come sembra. Prima è opportuno vedere cosa ci aspetta, e cioè quella che Veronesi definisce la società nanoscientifica. Prendete un millimetro e immaginate di dividerlo un milione di volte. La vostra mente non ci riesce ma la tecnologia sì. Da qui alcune delle meraviglie di cui presto potremo disporre: vernici ripiene di invisibili pannelli solari con cui dipingere le case, microspie diffuse negli ambienti con un semplice colpo di spray, microorganuli nel sangue per "correre tre ore senza respirare". Sono solo alcuni esempi: non c'è luogo del nostro corpo in cui non poter inserire nanocellule che megapotenziano le prestazioni. Evviva, gridano tutti a questo punto, e che altro si può dire visto che tutto è "a puro vantaggio dell'uomo"?
Ma la domanda è: qual è il puro vantaggio dell'uomo e chi lo stabilisce? Correre tre ore "senza respirare" è un vantaggio? In realtà da un uomo che corre senza respirare, a un uomo che parla senza pensare, a un uomo che vive senza amare, il passo non è poi così lungo. Einstein scriveva nel testamento spirituale: "Dobbiamo imparare a pensare in una nuova maniera: dobbiamo imparare a chiederci non quali passi possono essere compiuti... ma quali passi possono essere compiuti per impedire una competizione militare il cui esito sarebbe disastroso per tutte le parti". Einstein si riferiva alla guerra atomica, ma quello che conta è la sua visione generale di una ricerca scientifica guidata dall'etica, del tutto opposta rispetto al teorema secondo cui "se qualcosa è scientificamente ipotizzabile, prima o poi qualcuno la realizzerà". In realtà non è per nulla così, oggi la scienza è un'impresa collettiva che abbisogna di immensi finanziamenti pubblici e quindi di supporto politico, così che la comunità umana può decidere che qualcosa di scientificamente ipotizzabile non per questo debba essere realizzato. L'ottimismo scientifico non era condiviso da Einstein, secondo il quale "coloro che più sanno sono i più pessimisti".
Non si tratta ovviamente di coltivare il pessimismo fine a se stesso né tanto meno la sfiducia nell'intelligenza umana, si tratta solo di avere una lucida consapevolezza dell'enorme posta che è in gioco e del fatto che non potrà mai essere la sola scienza a stabilire il "puro vantaggio dell'uomo". Quale sarebbe infatti questo puro vantaggio? Siamo sicuri che esso consista solo in uno standard predefinito di salute fisica e mentale che è l'unico parametro che può essere offerto dalla scienza? Non posso non vedere però il pericolo di una "società nanoscientifica" che imponga a ogni individuo uno standard di salute fisica e mentale predefinito invadendolo fin da piccolo di microorganuli, uno standard in base a cui Michelangelo e Leopardi sarebbero stati sempre di buonumore, Nietzsche non sarebbe impazzito, Van Gogh non si sarebbe tagliato l'orecchio, Tolstoj sarebbe morto tra le linde lenzuola di casa, e tutti avrebbero fatto jogging ogni mattina dopo una colazione a base di cereali americani rigorosamente ogm.
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