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Che ora è ?
martedì 10 luglio 2012
Tu ….Tu…Tu… e se ci dessimo del “lei”?
di Filomena Russo Che
fine sta facendo la nostra lingua
? La lingua italiana così bella, così musicale, così elegante sembra allontanarsi sempre più da tutti quanti
noi o meglio siamo tutti noi a non praticarla, a non usarla e, talvolta, a
non conoscerla profondamente. La
lingua del dolce “si”, segno dell’identità nazionale, diventa sempre più
misconosciuta, maltrattata, mal
usata e ridotta talvolta a un cumulo di frasi e di vocaboli, sempre gli stessi,
per la maggior parte dettati dalla quotidianità, dalla televisione e dai media
in generale. Peccato che un patrimonio linguistico come il nostro sempre più
infarcito di vocaboli stranieri, si stia impoverendo.
Nulla da
obiettare sull’uso, la conoscenza e la competenza delle lingue straniere, tutt’altro, ma apprendiamo, usiamo, amiamo e rispettiamo la nostra prima lingua(straniera): La Lingua Italiana, poiché la lingua madre è il dialetto. Si potrebbe obiettare, allora se ci diamo e diamo del tu a
chiunque e comunque siamo giustificati. NO. Nei decenni passati quando la
maggior parte della popolazione
non conosceva la lingua nazionale( l’italiano), le persone che parlavano
il dialetto dicevano “siggnuria” per rivolgersi ai più grandi di età ,ai
genitori in primis, ai nonni, e a tutte
le persone in generale, che non si conoscevano, in segno di rispetto. Si è
usato e si usa raramente anche il “ Voi”, ma che fine ha fatto il “lei” così
elegante, così musicale nel contesto di una frase o di un discorso?
Considerando che il “lei” appartiene esclusivamente alla Lingua Italiana, dovremmo essere gelosi di
questa eleganza linguistica e custodirla, anzi sforzarci di usarla
quotidianamente, in ogni circostanza, rivolgendoci a chiunque; ma non lo si fa o non lo si vuole fare.
Dare del
“lei” il più delle volte, spesso, viene interpretato, come un non voler essere disponibili ad interloquire, anche da parte della persona che si è appena conosciuta. Non è inusuale, infatti, sentirsi dire, da parte di chiunque : “Diamoci del Tu”.
Per i più dare del” Lei” viene letto come un voler
mantenere le distanze. Ma quali distanze, leggiamolo piuttosto come salvaguardia
di un patrimonio linguistico, che insieme all’uso dell’imperfetto del
congiuntivo in dipendenza dal “se”, sta diventando, da un bel po’, qualcosa di
veramente difficile. La lingua si evolve, è vero, non è qualcosa di fisso e
immobile, è viva si sviluppa, si trasforma seguendo le esigenze dei parlanti, che continuamente la
creano e la ravvivano, ma, pure arricchendola di un lessico tecnologicamente e
scientificamente avanzato, sarebbe bello non distruggere le strutture
grammaticali e sintattiche, che costituiscono tutto un patrimonio linguistico, che ha origini molto
antiche.
Alcuni cenni storici sulle origini
della Lingua Italiana
La lingua italiana, come la francese,
la provenzale, la spagnola, la catalana, la portoghese, la rumena, la ladina
deriva dal latino. Si chiamano lingue neo-latine o “romanze”- parola derivata
dall’espressione medievale
Romanice loqui, con
cui si designava il linguaggio dei
romani in contrapposizione a quello dei barbari . Roma, con la sua forza
espansiva, quando conquistava nuove terre romanizzava le genti, sostituendo al
loro linguaggio il proprio. I soldati e i coloni non
parlavano la lingua latina letteraria, quella di Cicerone, Cesare, Livio etc.
ma il linguaggio parlato, quello della plebe, il latino volgare, e, per contrapporlo a quello letterario e a quello usato
dalle persone colte, presso i romani era designato come : rusticus , plebeius,
vulgaris etc. Il linguaggio cambiava da regione a regione, secondo le
particolari condizioni economiche e
il livello sociale. L’unità linguistica durò in Occidente finché durò l’unità politica dell’Impero . Quando l’Impero si
sfasciò, con l’unità politica andò perduta anche l’unità linguistica . Nei
secoli dal VI al IX ci fu un
fiorire sempre più rapido di parlate volgari locali, profondamente diverse
dalla lingua letteraria comune, favorite dal particolarismo, dalle
ristrettezze della vita feudale e
dalla mancanza di scambi intellettuali ed economici. Dopo il Mille negli
ambienti dell’alta cultura si ritornò al latino letterario, che si era pure
trasformato attraverso l’esile tradizione di cultura dell’alto Medioevo e si
designa col nome di basso latino
con l’uso delle parlate
volgari. Queste lingue volgari, ripulite dei dialetti locali, si livellarono nell’ambito di ciascuna
regione, finché uno di questi linguaggi locali, prevalse sugli altri via via
che si andarono costituendo le
nazioni moderne, e assurse a dignità di lingua letteraria. Anche in Italia, dal
X secolo in poi fu il linguaggio fiorentino, che prevalse sugli altri, per la
conformità che i dialetti toscani e quello fiorentino in ispecie hanno con il
latino, ma anche perché la regione Toscana, geograficamente, quasi al centro
della Penisola, poteva avere efficacia diffusiva al nord e al sud . Bisogna
aggiungere che la nostra letteratura dalle origini nei secoli XIII e XIV, dopo
un breve fiorire in altre regioni, particolarmente in Sicilia, alla corte degli
Svevi, fu elevata a grandissima altezza sia in prosa che in poesia , da Dante, dal Petrarca, dal
Boccaccio, che in fiorentino composero le loro opere immortali.
Allora, cosa ne pensiamo del “lei”?
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"Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero". Pierpaolo Pasolini scrittore ammazzato nel novembre del 1975
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