Esso è il più ripetuto, il più ricordato, forse anche più inconsapevolmente il più narrato, come se fosse un eroe di una qualche favoletta, famoso come lo può essere nei bambini un personaggio dei cartoni animati o negli adulti una grande cantante e musicista. Cesare è assoluto ed è impossibile non aver sentito risuonare questa parola almeno una volta nella propria esistenza.
La domanda che sicuramente sarà sorta adesso non potrebbe essere che questa: ma a noi che interessa di Cesare? Apparentemente poco, se si guardasse a questa persona come ad un nome disperso nelle sabbie del tempo. Però la sua figura è indiscutibilmente romantica: la sua vita, le sue gesta sono un po’ la rappresentazione delle torbide passioni e delle debolezze dell’uomo, ma anche della sua grandezza, dei sogni, delle sue aspirazioni.
Non si perderà tempo a narrare molto sulla sua vita: ci basterà ricordare che egli fu sin da giovane una persona destinata a combattere col destino, le bassezze della vita, quando sedicenne si ritrovò a fuggire per le campagne dagli assassini di Silla che, furioso perché non aveva lasciato la moglie come desiderava, lo voleva uccidere, dormendo quindi solo sotto le stelle tra i campi o affrontando e mescolandosi a criminali e vagabondi nella propria fuga.
Un grande politico, un grande soldato, un grande scrittore, un misto di genialità, grandezza e meschinità, era dunque questo Cesare, ma chi è realmente costui, destinato a impressionare il genio di potenti, scrittori, poeti e semplice persone? In realtà, chi fosse questo personaggio, quale fosse il motivo della sua grandezza, che cosa realmente aspirasse, non si è mai scoperto. Fa parte nel mistero, il suo mistero.
Dice Tito Livio che quello che si può dire di Cesare lo si può dire dei venti, come se il vento fosse in realtà l’azione di quest’uomo: come ogni vanità umana destinata ad essere polvere, nulla, il ricordo di Cesare e della sua vita sembra essere invece elevarsi all’inconsistenza, malinconicità e grandezza del vento stesso. La vita di Cesare, la sua potenza, la sua stessa esistenza, si sprigiona con la stessa forza dirompente del vento e nel vento, nel suo ricordo, muore.
La sua grandezza sta nella vaga vaghezza, nel suo irrefrenabile avanzare, soffiare imperioso come soffiano i venti, che lo spinse fine ai limiti del proprio mondo, desiderando e cercando qualcosa di indefinito, portandolo tra le brughiere della Gallia, le selve della Germania, le nebbie della Britannia ed all’altro capo tra le sabbie di Egitto e pianure dell’Oriente, dove Cesare, prima della morte, aveva deciso di voler fare un’ultima grande, magnifica, altrettanto vaga nella sua vastità, campagna contro l’Oriente, verso un orizzonte tanto esteso, quanto infinito. Lì si proietta Cesare, nella proprio infinito, nell’orizzonto tipico di coloro che sono al di sopra della realtà quotidiana.
Una superiorità, una grandezza di spirito, un essere eccezionale, che gli permetterà di saper parlare al cuore della gente in ogni tempo, saper perdonare i propri nemici e con loro dialogare e tentare la parola fino alla fine, servendosi della durezza in pochi rari casi. La clemenza, la sua arma, la sua rovina, fu il segno della sua grandezza, davvero, superiorità che lo faceva andare oltre le invidie, le gelosie ed antipatie personali che divoravano invece i suoi rivali.
E se davvero fu la grandezza del suo spirito a determinarne la fine ciò non può non indurci ad una riflessione sull’esistenza dell’uomo, sulla sua vita, simile al consumarsi di una candela, che tanto più rifulge della propria luce e splendore, tanto prima è destinato a spegnersi.
Il vento soffia ed esso spesso gli uomini affidano i propri ricordi. Il vento come parabola della vita, e nel caso in questione come simbolo di un nome, che della vaghezza della vita fu simbolo.
E tutto la sua magnificenza non finì certo quando i pugnali ne tradirono la fiducia, quando nella congiura di chi si nutriva di astratti ideali e di invidia un pugno di senatori uccisero il più consapevole e nobile esponente del loro rango, il cui ruolo, per certi versi provvidenzialistico, per certi versi necessario, ma per nulla scontato nel suo evolversi, come appunto il vento, ha forgiato la nostra storia.
Dunque, Cesare è questa grandezza evanescente, ineffabile, che ci risulta difficile da capire, da comprendere appieno, perché è la stessa natura dell’uomo stesso, debole eppure grande.
Un poeta, Jorge Luis Borges, racchiuse in poche righe quest’essenza: “Qui quello che lasciarono i pugnali /. Qui la povera cosa, un uomo morto / che si chiamava Cesare”.
E da questo Cesare, da questa “povera cosa”, che era nientemeno che Cesare, che verranno i tanti Cesare, quello dei principi, quello dei repubblicani, quello dei filosofi, dei potenti, quello dei romantici. Però è sempre lì, costante delle costanti nel percorso denominato storia.
In conclusione, si arriva al silenzio su questo uomo, la cui problematicità non può non porci di fronti a riflessioni più grandi di noi. E stupiti, come era colpito dalla sua ineffabilità un grande storico, la conclusione è nelle parole di Theodor Mommsen “ In ciò sta difficoltà, si potrebbe dire l’impossibilità di fare un’esatta descrizione di Cesare. Come il pittore può dipingere tutto, fuorché la bellezza perfetta, così lo storiografo che incontra ogni mille anni una sola volta una perfezione non può che tacere”.
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