L'ozio è l'astensione dalle attività, un senso di riposato piacere che la
persona può concedersi al termine di un periodo di lavoro (etimologicamente
"labor", dunque fatica). L'ozio è, infatti, il rinunciare per un
periodo più o meno lungo a quelle che comunemente sono indicate come le
"operazioni utili".I Romani coniarono un termine "Otium
Litterarum", l'ozio letterario.L'idea di una sosta rigenerativa per il
corpo e lo spirito si fa strada a più riprese nella storia dell'uomo moderno,
con la nozione di "tempo libero", di "ristoro emotivo",
proprio per la constatazione che soprattutto da un'armonia degli opposti, da
un'integrazioni fra dovere e piacere, si esprime il massimo della creatività
dell'uomo.
Le persone che coltivano l'Otium e i suoi decorosissimi piaceri,
sogliono essere in grandi attività affaccendate, intente a occupazioni che
richiedono impegno ed energia, ma sono caratterizzate da un solo elemento: il
massimo del piacere, il minimo (l'assenza per lo più) di guadagno economico. Un
Ozio quieto, denso di significato, proclive alle messi e al raccolto di buone
emozioni, di intensi piaceri per lo spirito. Ecco, dunque, comparire sulla
scena del pensiero il genio di Leonardo da Vinci, sovente indotto a soste di
ozio riflessivo e operoso durante l'esecuzione dei suoi dipinti e uso affermare
che l'artista "quanto meno adopera tanto più crea". L'idea di una
sosta rigenerativa per il corpo e lo spirito si fa strada a più riprese nella
storia dell'uomo moderno, con la nozione di "tempo libero", di
"ristoro emotivo", proprio per la constatazione che
soprattutto da un'armonia degli opposti, da un'integrazioni fra dovere e
piacere, si esprime il massimo della creatività dell'uomo.
L'Otium latino aveva un suo corrispettivo, non soltanto
etimologico: il Negotium (derivato da Nec-otium, periodo di attività), il
Negozio assumeva il valore dell'esperienza assidua e creativa. Singolare,
se poniamo bene l'attenzione alla successione delle parole, che
"Negotium" nascesse come termine proprio in successione e in
dipendenza dall'Otium. Come a indicare che il piacere era fonte e
necessità primaria di una ricerca, fino a trovare, nell'antichità di Atene
e di Roma, uno spazio necessario per la riflessione. Pensiamo, dunque, al
valore del ritrovarsi alle terme, ove, attraverso la cura del corpo si
rinfrancava lo spirito. Pensiamo ancora all'insegnamento dei filosofi dell'età
classica, propensi a istruire e formare i propri allievi mediante un
insegnamento orale diffuso in luoghi diversi della città. I Dialoghi di Platone
ci mostrano Socrate intento all'insegnamento entro le piazze e i portici di
Atene. La scuola di Aristotele sarà detta "peripatetica", dal fatto
che l'insegnamento veniva impartito durante piacevoli conversazioni tenute dal
filosofo, camminando con i suoi allievi in vari luoghi. E, se osserviamo il
celebre affresco che Raffaello dedica entro le stanza vaticane alla
"Scuola di Atene", scorgiamo un clima affollato e tranquillo, liberamente
creativo.
Ed ecco, quindi, il paradosso: le persone che coltivano l'Otium e i suoi
decorosissimi piaceri, sogliono essere in grandi attività affaccendate, intente
a occupazioni che richiedono impegno ed energia, ma sono caratterizzate da un
solo elemento: il massimo del piacere, il minimo (l'assenza per lo più) di
guadagno economico. E se aggiungiamo altre considerazioni, vedremo come, di
solito, l'insieme di queste attività comporti una concreta "inutilità
pratica" di quella certa occupazione. E' un mistero dell'uomo, ma ben
chiaro e presente a chi si occupi di "humanitas": quanto più
un'attività non riveste un fine pratico, tanto più si rende utile alla
crescita interiore, al ristoro della persona, intesa come unità psico-fisica di
anima e corpo.
I Romani fecero di più. Dopo aver inesorabilmente segnato
col termine negativo di "Ozi di Capua" il soggiorno di Annibale
(prolungato e inopportuno) durante la seconda guerra Punica, nell'inverno
216-15 a.C., istituirono la pratica dell'Otium e la coltivarono amorevolmente.
Otium fu, dunque, il tempo dedicato alla cura della casa, del podere, degli
studi, al di fuori di ogni abituale e quotidiana attività. E coniarono un
termine "Otium Litterarum", l'ozio letterario, che ben si addice a
chi voglia coltivare il piacere e la lettura, la creatività e l'arte, fonte di
crescita e di migliormanto certo per l'essere umano. Per gli antichi romani
l’otium, opposto al negotium, aveva un ruolo molto importante, dedicato alla
riflessione e alla cura del corpo e dell’anima. Non non fare nulla, ma fare per
sé invece che per il denaro. Oggi l’ozio viene riscoperto come terapia della
nevrosi da lavoro: lavorare con calma e per bene, come un artigiano, trovare
più tempo per coltivare le amicizie e gli interessi, apprezzare tutte quelle
cose apparentemente “inutili”, perché non immediatamente traducibili in moneta,
che fanno la qualità della vita. Cosa c’è di più urgente di ignorare l’urgenza,
di abbandonare la frenesia e l’ansia a favore della lentezza e della
riflessione? Abbiamo forse bisogno di
una nuova etica oziosa?
Ha scritto Vitantonio Dell'Orto:
“Provate a spegnere il televisore e passare una serata senza parlare, senza
fare nulla. È come scendere da un’auto in corsa e scoprire improvvisamente un
mondo prima invisibile, appena fuori dalla portiera. Provate a fermarvi,
durante una camminata, e restare. Vedrete le cose animarsi: lo scorrere
dell’acqua, il passaggio delle nuvole, il passo lesto di un insetto… La mente
allora può vagare e rincorrere quelle costruzioni ideali che derivano
dall’osservazione della Natura. La parola “contemplazione” trova finalmente una
sua dimensione. Quante ricchezza e profondità ed emozione perdiamo, nel nostro
perenne correre? Quante intuizioni, quante riflessioni? E ancora: a quanti, dettagli,
forme, immagini e soggetti rinunciamo, passandovi accanto di fretta? Più tempo
si resta nell’ozio, migliore è la nostra percezione, e migliori saranno le
nostre foto, per restare nel tema di questo spazio. La gran parte
dell’espressione fotografica dipende dall’approccio, perché è questo che
favorisce l’interpretazione personale, e conta più dell’uso di un certo
obiettivo o una certa esposizione. Non è difficile padroneggiare la tecnica;
meno facile è farsi coinvolgere, lasciarsi rapire, percepire la complessità e
decodificarla, riuscire a “vedere” i soggetti per interpretarli in modo da
rendere loro giustizia. “Sprecare” il tempo è fondamentale per riuscire a viverli
prima, e ben fotografarli poi.
Fate qualcosa: non fate nulla”.
La salvezza potrebbe venire da una passeggiata.Inoltrarsi
in un sentiero del bosco, andare a funghi e, in riva a un fiume, lanciare
pietre nell’acqua, immergersi nella natura ascoltandone la voce. Spegnere
televisione, computer, cellulare. Visitare le chiese di una città e in esse
fermarsi ad ascoltare concerti di musica sacra. Il suono antico dell’organo si
spande corposo,
abbraccia le colonne, le nervature delle crociere, i
capitelli, e noi stessi lì raccolti. Soffermarsi
nella bottega di un artigiano. Ammirarne i gesti millenari
e quelle mani, dalla cui maestria
scaturisce
l’opera. Andare via dal clamore e dal clangore che infestano le moderne
cattedrali consumistiche di questo nostro mondo globalizzato. Andare via.
Godersi il silenzio. E l’ozio.
“Mai qualcuno è più attivo di quando
non fa nulla, mai è meno solo di quando
è solo con se stesso” (Catone)
NB …” Vive dunque secondo natura chi si dedica completamente a lei, per contemplarla
e venerarla. Ma la stessa natura vuole anche che ci si dedichi all'azione,
sicchè possiamo fare entrambe le cose e così faccio io, tanto più che pure la
contemplazione è, in definitiva, un'azione”. (Seneca,
De Otio)
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