Il nuovo senso della vita si afferma - nella forma più pura e
immediata - nelle virtù propriamente cavalleresche e gentili: da un lato la
generosità verso i vinti, la protezione del debole e il culto della donna,
cortesia e galanteria; dall’altro le caratteristiche del moderno gentiluomo,
liberale e disinteressato, superiore ai vantaggi materiali, sportivamente
corretto e gelosissimo del proprio decoro. Sebbene la morale cavalleresca non
sia del tutto indipendente dall’emancipata mentalità borghese, tuttavia nel
culto di queste nobili virtù, è in netto contrasto con lo spirito borghese del
guadagno. La cavalleria si sente minacciata nella sua esistenza materiale
dall’economia monetaria borghese, e si volge con odio e con disprezzo contro il
razionalismo economico del mercante, contro il calcolo e la speculazione,
contro l’attitudine a risparmiare a e contrattare. Antiborghese è tutto il suo
tenore di vita, la sua prodigalità, il suo gusto per la cerimonia, il suo
disprezzo per ogni lavora manuale e di ogni regolare attività di lucro. Molto
più difficile dell’analisi storica del sistema etico cavalleresco è a piegare
storicamente le due grandi creazioni culturali della cavalleria: il nuovo
ideale amoroso e la nuova lirica amorosa. E’ evidente fin da principio che esse
sono in stretto rapporto con la vita di corte. Le corti non sono soltanto il
loro a fondo, ma anche il terreno che le alimenta. Ora però sono le corti
minori, quelle dei principi e dei feudatari, e non più quelle dei re, a determinare
lo sviluppo generale. La cornice più modesta spiega anzitutto il carattere
relativamente più libero, individuale e vario, della cultura cavalleresca.
Essere originali in questo mondo dominato dalle forme, equivale ad una
scortesia inammissibile. Appartenere al circolo di corte è in se il maggior
premio e onore; ostentare la propria originalità è coma disprezzare quel
privilegio. Così tutta la civiltà dell’epoca resta legata a convenzioni più o
meno rigide. Come sono stilizzate le buone maniere, l’espressione dei
sentimenti, anzi i sentimenti stessi, così lo sono anche le forme di poesia e
dell’arte. La cultura della cavalleria medievale è la prima manifestazione moderna di una cultura organizzata dalle corti, la prima in cui fra il signore, i cortigiani e i poeti ci sia una vera comunione spirituale. Le corti delle muse non sono soltanto strumenti di propaganda e istituzioni culturali sovvenzionate dai principi, ma rappresentano organismi complessi in cui quelli che inventano le belle forme di vita e quelli che le mettono in pratica mirano allo stesso fine.
Ma una simile comunione è possibile solo dove ai poeti che salgono dal basso è
aperto l’accesso ai più alti strati della società, dove tra i poeti e il loro
pubblico c’ è una grande somiglianza di vita (che sarebbe stata inconcepibile
un tempo), e dove cortesia e scortesia non implicano solo una differenza di
condizioni, ma di educazione: dove quindi non si è necessariamente gentili per
nascita e per grado, ma lo si diventa per istruzione e carattere. La civiltà
cortese del Medioevo si distingue da ogni altra - anche da quella della corti
ellenistiche, pur fortemente influenzata dalla donna- soprattutto per il suo
carattere spiccatamente femminile; e non solo perché le donne prendono parte
alla vita intellettuale e contribuiscono a orientare la poesia, ma perché,
sotto molti rispetti, è femminile anche il pensiero e il sentimento degli
uomini. Mentre gli antichi poemi eroici, e le stesse Chanson de Geste, erano
destinati a un auditorio maschile, la poesia amorosa provenzale e i romanzi
bretoni del ciclo di Artù si rivolgono anzitutto alle donne. Eleonora
d’Aquitania, Maria di Champagne, Ermengarda di Narbona, o comunque si chiamino
le protettrici dei poeti, non sono soltanto gran dame, coi loro salotti
letterali, esperte e promotrici di poesia, ma sono spesso loro a parlare per
bocca dei poeti. E non basta dire che gli uomini debbano alle donne la loro
educazione estetica e morale, che esse sono la sorgente, l’argomento e il
pubblico della poesia …Ciò che contraddistingue la poesia cavalleresca nei
confronti della antichità e della alto medioevo è soprattutto il fatto che
l’amore, per quanto spiritualizzato, non si eleva a principio filosofico, come
in Platone o nei neoplatonici, ma conserva il suo carattere sensuale ed
erotico; e proprio in quanto tale opera la rinascita della personalità morale.
Nuovo, nella poesia cavalleresca, è il culto consapevole dell’ amore, il senso
che l’amore va protetto e alimentato; nuova è la credenza che l’ amore sia la
fonte di ogni bontà e bellezza e che ogni atto turpe, ogni bassa inclinazione
sia un tradimento verso l’amata. Nuovo è l’intimo dolce affetto, la pia
devozione, che l’amante prova in ogni pensiero per la sua donna; nuova
l’infinita, inappagata e inappagabile, perché illimitata, sete d’amore. Nuova è
la felicità d’amore, che è indipendente dalla soddisfazione del desiderio e
resta suprema beatitudine anche nel più duro insuccesso. Nuovo infine è
l’intenerimento e la femminilizzazione dell’ uomo innamorato. Già l’uomo che
faccia la parte del corteggiatore capovolge il rapporto primitivo fra i sessi.
Le età arcaiche ed eroiche, in cui i bottini di schiave e ratti di fanciulle
sono all’ordine del giorno, ignorano il corteggiamento. Che, del resto,
contrasta anche l’uso del popolo.


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blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis