di Elio Francescone
"Nell'immaginario collettivo, ancora oggi dire "Auschwitz" significa evocare il simulacro della malvagità umana, quanto di più efferato e crudele l'uomo sia capace di immaginare e perpetrare a danno del proprio simile, l'inferno sulla terra. Se questo è, ad Auschwitz deve essere accaduto qualcosa che va al di là della nostra capacità di riflessione e di espressione. Ad Auschwitz ha regnato la morte come in nessun altro posto ed in nessun altro tempo nella storia dell'uomo o, quanto meno, alla pari con i più tragici eventi che hanno segnato la memoria storica dell'umanità. Del resto, se queste affermazioni possono sembrare troppo gravi per chi non ha visto Auschwitz, chi ha calpestato la terra di quel campo, seppure a cinquant'anni di distanza, sa che esse indicano solo una parte, quella appunto esprimibile in parole umane, dell'orrore che ancora oggi aleggia in quel doppio recinto di filo spinato".
"Ad Auschwitz il Dio infinitamente buono ha rivelato la sua radicale impotenza nei confronti del male: una verità amara per l'umanità, perché ne assegna all'uomo, in ogni tempo ed in ogni luogo, la responsabilità.
Il lager divorò bambini che non possedevano ancora l'uso della parola e ai quali questa opportunità non fu neppure concessa. Chi vi morì, non fu assassinato per la fede che professava e neppure a causa di essa o di una qualche convinzione personale. Coloro che vi morirono, furono innanzitutto privati della loro umanità in uno stato di estrema umiliazione e indigenza; nessun barlume di dignità umana fu lasciato a chi era destinato alla soluzione finale. Dio permise che ciò accadesse. Ma quale Dio poteva permetterlo?"
"Auschwitz: un campo di lavoro coatto (Monowitz, che era poi il campo di Primo Levi), il campo di punizione e rieducazione (Auschwitz 1), il campo di sterminio (Birkenau). E poi altri 47 sottocampi. Un'estensione di ben 40 km quadrati. Nel pensiero nazista, una vera e propria regione concentrazionaria. Ma nata per addizioni, piano piano, a poco a poco. Tutto questo dà l'idea di una mente umana del tutto normale. Non viene fuori il mostro, una facile scorciatoia che sposta Auschwitz - follia e orrore - sul piano dell’umana cattiveria. Ad Auschwitz gli uomini, donne e bambini non erano più esseri umani ma semplicemente ‘pezzi’, ‘stuck’. Nel campo si poteva sopravvivere poche settimane, a volte alcuni mesi al massimo. E tutto era stato studiato a tavolino. La dieta e le razioni ridotte, assieme al lavoro coatto, portavano allo sfinimento da tre a sei mesi. Il tatuaggio e un numero sostituivano il nome: impresso sull’avambraccio o sul petto, ai bambini sulle cosce o sulle natiche. Tutto era stato pianificato per annientare il fisico ma anche la personalità e dignità umana".
brava Lilli, ottimo articolo.
RispondiEliminaNon non l'ho scritto io, chiedo scusa al prof Francescone , nel copia ed incolla mi è saltata la firma.
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