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domenica 22 gennaio 2012

UNA LAMPADA.......... DIMENTICATA TROPPO PRESTO


Il 22 maggio 1952, con delibera del Consiglio Comunale, per la celebrazione della festa di San Francesco de Geronimo,si stabilisce di donare al Santuario omonimo una lampada votiva, la cui esecuzione viene affidata al prof. Vincenzo Giovanni Spagnulo.(Iadduzzu- 1905/1985)
L’11 .5.1953, una folla curiosa si accalca presso la chiesa del Santo per ammirare la grande lampada, ardente di fronte all’urna, dono di Grottaglie:    “civi ac patrono cryptaleensis civitas    A.D.MDIIIILII”.

“Lampada originale! Un anello, una specie di fascia zodiacale,recante la scritta dedicatoria,la recinge in senso orizzontale ripartendola in due calotte: sul margine della armilla siedono 4 angeli d’oro e si innestano quattro catenelle che convergono verso l’alto e si agganciano ad un anello di sostegno.
Il globo, laccato in delicato verde pisello,   non e’ ne’ opaco ne’ cieco che’ la verde convessione della calotta superiore e’ trapunta di margherite d’oro.Quando il globo si illumina all’interno, che’ e’ tutta luccicante patina d’oro, la vaga e varia opera di traforo si avviva e si staglia per biondissime squillanti incandescenze, onde l’occhio e’ piacevolmente attratto ed incantato.
Lavoro di prestigioso virtuosismo di tecnica, specialmente se si badi al ridottissimo spessore della falda di argilla su cui l’artista ha dovuto operare. Tutta traforata, la lampada presenta diversi simboli piu’ volte ripetuti.
Nella parte inferiore si notano i segni della fede e della religione; nella parte superiore una varieta’ di fiori ed un luccicar di stelle che preparano l’occhio allo splendore della fiammella che al centro della lampada arde nell’affetto dei devoti.
Una nota tecnica: l’irregolare deformazione del cerchio e la facile rottura durante l’essiccamento, per l’incostante ritiro, e’ stata superata con il geniale espediente di tre cotture a diverse gradazioni.
Quando si entra nel santuario, di sera, sembra che volatilizzino tutt’intorno diversi magnifici colori, per lo piu’ perlacei”   (“Tornate a Cristo, mensile del Santuario, pagg.4/5 a firma di padre  M.I.D’Amuri, anno VIII n.6 del 1953”).

 

 Rivedo e ricordo Vincenzo Giovanni Spagnulo, morto all’eta’ di 80 anni, con il pugno alzato verso il cielo a rincorrere una giovinezza ormai spenta, dimentico che la morte  e’ il nostro angelo custode,  piu’ di quello vicina e sollecita.E’ difficile dire se sia stato un artista ( che labilita’ il confine tra artigiano ed artista !): e’ certo, comunque,  che l’argilla e gli smalti non ebbero segreti per lui. Miscelati con indiscussa abilita’, essi partorirono forme  sempre piu’ originali, in quanto hanno rappresentato  modi di senrtire piu’ che di vedere.Mi ritorna in mente nella sua bottega, chino sul tornio,  con le maniche della camicia alzate e le mani impiastricciate di argilla:” sfido chiunque al mondo a fare sfera di argilla perfette e tonde come le mie”.
Ecco, quest’aria guascone  apparteneva al personaggio  ( Iadduzzu !), narcisista ed altero in quest’arte ereditata dal padre ed ora sua.Ricordava volentieri la sua fanciullezza, la bottega paterna,il fratello Cosimo, morto prematuramente ed a cui era tanto legato, le sorelle Camilla e Marietta, tanto amate. E sempre per  sottolineare i sacrifici fatti, per mettere in evidenza che si era costruito da solo, contro tutti e tutto. La morte del figlio, di nove anni,era la spina che si portava dentro:  me ne parlava malvolentieri, misurando le parole e chinando la testa sul lavoro.Ed ecco allora che il viso del bimbo veniva fuori in quello dei suoi personaggi: tristi,come quelli di gente che sa di dover morire. “ non ho avuto fortuna” , cosi’ diceva continuamente. La famiglia lo aveva trattenuto dal raggiungere altre mete,altri traguardi, a cui la sua bravura sembrava destinarlo.Era in perenne rimbrotto contro il destino,che lo aveva allontana da Firenze, facendolo ritornare nell’assolato paese natio.Il camice, una volta lindo e bianco,era sempre sporco di colore e le spatole, le stecche, gli altri arnesi erano vecchi di almeno trent’anni, legato come era, in maniera morbosa, a cio’ che gli ricordva il passato.La sua e’ stata una fanciullezza mai troppo rimpianta,e sempre in memoria: che e’ elegia, vena di malinconia,tristezza mai doma,reminiscenza di forme paterne e vicoli bianchi,di antri fumosi ove care e fugaci ombre si affannano davanti ai fuochi per l’ultimo parto di un informe impasto.Nelle sue  figure ho visto il passato,bianchi fantasmi una volta conosciuti, coi visi atteggiati ad una tristezza senza fine, proprio perche’ consci di incarnare cio’ che non e’ piu’.Ebbe una straordinaria capacita’ nella lettura e comprensione del disegno,un colpo d’occhio sicuro, non disgiunto da qualita’ inventive,nel difficoltoso ed affascinante lavoro del tornio.
Lo ricordero’ cosi, col sorriso sulle labbra,come un bambino birichino che ride mentre gioca in una piazza assolata.

(Tratto da  “Vincenzo Giovanni  Spagnulo,ceramista  grottagliese” - 1987-  del Prof.Elio Francescone)

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