Scriveva il poeta Orazio, circa venti secoli addietro, a
Aristio Fusco a proposito della campagna:
...Est ubi
plus tepeant hiemes, ubi gratior aura
leniat et rabiem Canis, et momenta Leonis,
cum semel accepit Solem furibundus acutum?
…Tu nidum servas, ego laudo ruris amoeni
rivos et musco circumlita saxa nemusque.
Dove, dimmi dove l'inverno è piú dolce e brezza
mitighi la rovente canicola, e le settimane d’agosto,
quando infuria il caldo sotto un sole bruciante?
…Tu proteggi pure il tuo nido, io lodo l'incanto della mia
campagna,
coi suoi ruscelli, i boschi, e le rocce velate di muschio.
In campagna lo spirito non può mai allontanarsi
tanto dalla base della vita della specie umana, da ciò che è naturale,
conveniente e utile. Per l’uomo, come specie, ciò che è naturale e conveniente
è la vita rurale — perché noi siamo risultati dell’allevamento millenario della
campagna; la città come ambiente di allevamento non ha avuto ancora effetto
positivo per la maggior parte delle popolazioni occidentali, come risulta anche
dal fatto che le generazioni inurbate periscono continuamente in maniera piu’…veloce.
Da noi occidentali difficilmente
esistono stirpi selezionate per resistere alla vita in città. Sebbene in
Occidente sin dall’età dei romani esistono città, e in Germania città fondate
da tedeschi circa mille anni fa, l’allevamento dell’uomo in Occidente non si è
ancora adeguato a questo « progresso », cosa che non meraviglierà chi ha
concepito in modo giusto il carattere e i processi di selezione degli esseri
viventi con lenta successione di generazioni, né chi ricorda come attorno al
1800 i tedeschi fossero ancora in grande prevalenza contadini.
L’idea che gli uomini non siano ancora abituati all’ambiente urbano, perché le
città sono « una manifestazione relativamente giovane nella storia dell’umanità
» e che soprattutto le « città industriali moderne » non siano adatte all’uomo,
lo trovo espresso anche in Sorokin; ma in Sorokin questo pensiero è espresso in
modo ancora lamarckianamente insostenibile (1). Evidentemente Sorokin immagina
che il singolo possa adattarsi lentamente alla vita urbana acquisendo istinti
cittadini. Io vorrei però esprimere l’idea in termini darwiniani. Esistono naturalmente possibilità di un certo
adattamento dei singoli alla vita cittadina; ma di tali adattamenti, che i
singoli acquisiscono per sé, non viene trasmesso niente. Ereditariamente
trasmesse possono essere solo le disposizioni di un certo adattamento
all’ambiente urbano, la disposizione a un certo livello di compatibilità con la
città. Che questa dimensione sia esigua è già stato visto da uomini come il
francese Le Play (1806-92) e il tedesco W.H. Riehl (1823-97). L’adattamento
stabile di un gruppo di persone alla città potrebbe avvenire solo per via di
selezione, ossia attraverso un numero di figli superiore alla media di quelle famiglie che per loro attitudini sono
maggiormente compatibili con la vita in città. Ma poiché il gruppo di coloro
che per istinto si possono meglio adeguare all’ambiente cittadino sono di
regola anche quelli che hanno la minore volontà di procreare — con una vita
sessuale forse anche più intensa — anche da questo risulta quanto sia limitata
la possibilità di allevare generazioni pienamente capaci di adattarsi a vivere
in città.
La campagna con la sua vita contadina e rurale-artigiana è
perciò ancora l’ambiente più adeguato alle predisposizioni ereditarie della
maggior parte degli uomini — anche se tanti singoli inurbati con istinti
cittadini non possono ritrovarsi in campagna. Come portatori di eredità,
neppure questi abitatori di città sono adattati all’ambiente cittadino, come
dimostra appunto l’estinzione delle stirpi cittadine.
La letteratura sul tema della lentezza e del decelerare si
sta notevolmente ampliando in questi anni. Fra le riflessioni più interessanti
cito quelle di Tom Hodgkinson di cui
desidero ricordare due saggi: L’ozio come stile di vita e
La libertà come stile di vita; sono due veri capolavori a supporto
della “filosofia della lentezza”. La
tesi di fondo di Tom Hodgkinson è quella di affermare che in una società basata
sul fare, sull’efficientismo, sul mercato globale e sulla velocità, la maniera
per essere veri rivoluzionari è oziare e rallentare, far da sé e produrre
localmente, perder tempo. Perdere tempo vero peccato capitale in un sistema sociale
incentrato sul profitto ad ogni costo, è legato invece a una società basata sui
ritmi ciclici, a uno stile unito alla natura, al lavoro che l’uomo svolge per
produrre il suo sostentamento. L’idea del “perdere tempo”, dell’attendere
pazientemente che un ciclo si compia, è caratteristica del lavoro contadino,
della terra e della campagna. A ben pensare nel lavoro dei campi non esistono
pause che non siano feconde, il tempo perso in realtà è un tempo biologicamente
necessario, che si riempie spesso di attività di preparazione a eventi ciclici
come sono i raccolti o le semine e questo perché la campagna è una filosofia di vita!. Mentre la velocità è
legata a tempi lineari, a una produzione industriale centrata sull’usa e getta,
a un modello di società che consuma e che non si preoccupa di far rientrare
entro cicli naturali beni, energie, materie prime e persone. È un “tempo-freccia”,
privo d’attese.
E al caro Virgilio ,compagno di tante ore liete e trepidazioni dei tempi del Liceo, che aveva scritto: "Deus nobis haec otia
fecit",("un dio ci ha
donato questi ozi"),
rispondo ammiccando:
Sono un privilegiato
perche' ascolto il ticchettino della pioggia
quando la scorza degli alberi diventa verde come le loro foglie e l'odore della
terra si mescola
nelle narici..
e seguo il volo di una farfalla quando dal fiore si libra verso
l'immensita' del cielo,con eleganza e tende verso cio' da cui si e'
staccata..
Sono un privilegiato
perche' chiudo gli occhi,in un pomeriggio afoso e canicolare, al canto divino
delle cicale e alla
armoniosa guida del loro direttore d'orchestra mentre il vento si insinua nei
miei capelli, disteso sotto il capace manto protettivo dell'ulivo,
e vedo le formiche che corrono inseguendo la loro
operosita' in un ordine maniacale e le lucertole che si abbeverano alla ciotola
dei gatti in un'armonia di sensi e gli uccelli che volano tra le nuvole ad ali
spiegate…
bravissimooooooooooooooooooooooo
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