“Quando in un capannone spruzzano il veleno, per almeno 48 ore nessuno può entrarci. In realtà ci fanno entrare anche dopo poche ore. Capita molto spesso. Le mascherine ce le portiamo noi da casa. Da sempre me ne fabbrico una con una fascia di cotone e indosso un fazzoletto in testa. Questa è la seconda volta che finisco in ospedale per avvelenamento".
Teresa è una donna sulla cinquantina, energica e dinamica, capelli ossigenati e unghiadipinte da uno smalto blu elettrico, racconta la sua avventura mentre facciamo colazione con una deprimente pappina di mele, senza zucchero e senza anima, in una delle camere dell'ospedale di Grottaglie, in provincia di Taranto. Lei e Maria, una sua collega, sono qui per un "incidente" sul lavoro. “
Quando qualcuno si avvelena e sviene, le donne la spogliano, le infilano un camice pulito e la portano in ospedale". "Perché il camice?", "Perché in ospedale non sentano la puzza del veleno. Il proprietario della terra generalmente preferisce investire in camici piuttosto che in mascherine, forse più costose”. Posa il cucchiaio, e decide che il digiuno è più dignitoso della pappina. continua
Nessun commento:
Posta un commento
blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis