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mercoledì 30 maggio 2012

L’emozione del tempo: la fanciullezza


Ognuno di noi ha, serrato nel cassetto della memoria , un oggetto, un avvenimento, un episodio della sua fanciullezza, che ritorna nei momenti piu’ impensati e piu’ strani, quasi a volerci ricordare cio’ che e’ stato, cio’ che e’ trascorso ormai irrimediabilmente perche’, come scriveva Eraclito di Efeso, “ tutto scorre ovvero πάντα ε “.
 In questo caso mi riferisco alla poesia "Davanti a San Guido" di Giosue’ Carducci, il " Vate della Terza Italia ", come fu definito per la sua concezione eroica della poesia e per il prestigio nazionale e ufficiale che gli fu riconosciuto dopo l'unità:  esercitò vasta influenza tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 anche per la sua opera di critico e di studioso.Nel 1906 gli venne conferito il premio Nobel per la Letteratura. Muore il 16 febbraio, 72 enne, a Bologna, nella cui Certosa è sepolto.

La selvaggia campagna maremmana ha lasciato una forte impronta nella poesia del Carducci. Tanti componimenti di questo autore fanno riviver dinanzi alla fantasia del lettore la storia antica, i vari aspetti della Maremma, dai più orridi ai piú sereni e ridenti, e le forti impressioni che ne ebbe il Poeta; ma la poesia che piú compiutamente rispecchia i suoi ricordi giovanili è certamente Davanti San Guido ».Anch' essa, balza improvvisa dalla mente e dal cuore del Poeta mentre egli attraversa in treno il paesaggio. I cipressi che, per tre lunghi chilometri, vanno in duplice diritta fila vicino alla stazione, cui non è lontano l'oratorio di San Guido, fino a Bólgheri, invitano il Poeta a riposarsi ancora alle loro ombre, dove egli corse e giocò nella fanciullezza serena. Gli ricanteranno le antiche canzoni; e tutti i mitici fantasmi che egli era solito di evocare in queI luoghi, si ravviveranno ancora per accoglierlo in festa e per consolarlo.
Ma il Poeta non può trattenersi: le cure della vita lo chiamano lontano. E allora, sorge dal cimitero nonna Lucia, a ricordargli la vecchia novella di colei che tutta la vita peregrinò inutilmente cercando il suo perduto amore. Così è il Poeta e cosi’ siamo anche noi: tutti a  correre dietro a un sognato bene che non raggiungeremo mai, se non, forse, nella pace ultima della tomba:
I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:

Ira non ti serbiam de le sassate
                                    Tue d'una volta: oh non facean già male!...

Innanzi tutto il poeta sta compiendo un “viaggio” e tutti i versi sono  un’alternanza di visioni e sensazioni ora della vita reale ora di una vita surreale o, meglio, ideale alla quale i cipressi richiamano lo scrittore: ed è in questo dualismo che si sviluppa l’opera: da una parte i cipressi invitano il poeta a tralasciare la vita profana, con tutte le sue passioni, le sue preoccupazioni, i suoi vincoli, e dall’altra l’uomo che nel profano e nelle sue manifestazioni crede di realizzare sé stesso.
 
All’invito a fermarsi dei cipressi il poeta risponde “…e so legger di greco e di latino… e ho molte altre virtù… non fo per dire ma oggi sono una celebrità…”. Convinto di questa sua certezza, pensa di aver convinto anche loro ma le piante gli  ribattono Sì, sì lo sappiamo che sei un pover’uomo…”: roba da gelare il sangue nelle vene!

E qui inizia una serie infinita di allettanti inviti a rimanere, a fermarsi lì tra le colonne,… tra quel duplice filare, dove tante cose ha ancora da imparare, tante cose di cui arricchire il suo spirito. “Dimani a mezzo il giorno”, l’ora in cui gli apprendisti liberi muratori sono soliti aprire i loro lavori, “ti canteremo noi cipressi i cori che vanno eterni tra la terra e il cielo”. I cipressi, i fedeli amici, ma perché no, i “Fratelli Cipressi”, ai quali non tirerebbe più neanche un sassolino per gioco, gli promettono non le solite cose che allettano ed adescano l’uomo profano, bensì si impegnano ad elevarlo verso una realtà superiore che sfugge all’uomo comune intento a seguire falsi segnali simili a fuochi fatui: un invito a ritrovare in sé stesso quel giusto equilibrio tra sentimento e ragione proprio dell’uomo libero e di sani costumi: “… il dissidio, o mortal, delle tue cure nella diva armonia sommergerà”, “tutto in questo tempio dovrà essere serietà, senno, benefizio e giubilo”.
 
Per concludere voglio ricordare, donare un pensiero a quell' "asin bigio"; l'ho visto, l'ho conosciuto, è dovunque,e’ l’asino per antonomasia: sta lì all'angolo di ogni strada, non ti degna di uno sguardo mentre è intento a rosicchiare il suo cardo: è insensibile a tutto ciò che lo circonda, non si scomoda neanche gli crollasse il mondo addosso, convinto di realizzarsi sgranocchiando un cardo rosso e turchino. Bisogna però capirlo: aveva un cugino, il quale un giorno, per spaventare gli altri animali o semplicemente per primeggiare su di essi, volle mettersi indosso una pelle di leone … ma finì sbranato.
…Ansimando fuggìa la vaporiera
Mentr'io così piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.

Quella fanciullezza non gli apparteneva piu’, se non nella nostalgia,…come a tutti noi.


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Pierpaolo Pasolini
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ammazzato nel novembre del 1975

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