Ognuno di noi ha, serrato nel cassetto della memoria , un
oggetto, un avvenimento, un episodio della sua fanciullezza, che ritorna nei
momenti piu’ impensati e piu’ strani, quasi a volerci ricordare cio’ che e’
stato, cio’ che e’ trascorso ormai irrimediabilmente perche’, come scriveva
Eraclito di Efeso, “ tutto scorre ovvero πάντα ῥεῖ “.
In questo caso mi riferisco alla poesia "Davanti a San Guido" di Giosue’ Carducci, il
" Vate della Terza Italia ", come fu definito per la sua concezione
eroica della poesia e per il prestigio nazionale e ufficiale che gli fu
riconosciuto dopo l'unità: esercitò
vasta influenza tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 anche per la sua opera
di critico e di studioso.Nel 1906 gli venne conferito il premio Nobel per la
Letteratura. Muore il 16 febbraio, 72 enne, a Bologna, nella cui
Certosa è sepolto.
La
selvaggia campagna maremmana ha lasciato una forte impronta nella poesia del
Carducci. Tanti componimenti di questo autore
fanno riviver dinanzi alla
fantasia del lettore la storia antica, i vari aspetti della Maremma, dai più
orridi ai piú sereni e ridenti, e le forti impressioni che ne ebbe il Poeta; ma
la poesia che piú compiutamente rispecchia i suoi ricordi giovanili è
certamente Davanti
San Guido ».Anch' essa, balza improvvisa dalla mente e dal cuore del Poeta mentre
egli attraversa in treno il paesaggio. I cipressi che, per tre lunghi
chilometri, vanno in duplice diritta fila vicino alla stazione, cui non è
lontano l'oratorio di San Guido, fino a Bólgheri, invitano il Poeta a riposarsi
ancora alle loro ombre, dove egli corse e giocò nella fanciullezza serena. Gli
ricanteranno le antiche canzoni; e tutti i mitici fantasmi che egli era solito
di evocare in queI luoghi, si ravviveranno ancora per accoglierlo in festa e
per consolarlo.
Ma il
Poeta non può trattenersi: le cure della vita lo chiamano lontano. E allora,
sorge dal cimitero nonna Lucia, a ricordargli la vecchia novella di colei che
tutta la vita peregrinò inutilmente cercando il suo perduto amore. Così
è il Poeta e cosi’ siamo anche noi: tutti a correre dietro a un sognato bene che non
raggiungeremo mai, se non, forse, nella pace ultima della tomba:
I cipressi che a
Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardar.
Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai ?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh non facean già male!...
Innanzi tutto il poeta sta compiendo
un “viaggio” e tutti i versi sono un’alternanza di visioni e sensazioni ora
della vita reale ora di una vita surreale o, meglio, ideale alla quale i cipressi richiamano lo scrittore: ed è in
questo dualismo che si sviluppa l’opera: da una parte i cipressi invitano il
poeta a tralasciare la vita profana, con tutte le sue passioni, le sue
preoccupazioni, i suoi vincoli, e dall’altra l’uomo che nel profano e nelle sue
manifestazioni crede di realizzare sé stesso.
All’invito a fermarsi dei cipressi
il poeta risponde “…e so legger di
greco e di latino… e ho molte altre virtù… non fo per dire ma oggi sono una
celebrità…”. Convinto di questa sua certezza, pensa di aver convinto
anche loro ma le piante gli ribattono “Sì, sì lo sappiamo che sei un
pover’uomo…”: roba da gelare il sangue nelle vene!
E qui inizia una serie
infinita di allettanti inviti a rimanere, a fermarsi lì tra le colonne,… tra
quel duplice filare, dove tante cose ha ancora da imparare, tante cose di cui
arricchire il suo spirito. “
Dimani a mezzo il giorno”, l’ora in cui gli
apprendisti liberi muratori sono soliti aprire i loro lavori, “
ti canteremo
noi cipressi i cori che vanno eterni tra la terra e il cielo”. I cipressi,
i fedeli amici, ma perché no, i “Fratelli Cipressi”, ai quali non tirerebbe più
neanche un sassolino per gioco, gli promettono non le solite cose che allettano
ed adescano l’uomo profano, bensì si impegnano ad elevarlo verso una realtà
superiore che sfugge all’uomo comune intento a seguire falsi segnali simili a
fuochi fatui: un invito a ritrovare in sé stesso quel giusto equilibrio tra
sentimento e ragione proprio dell’uomo libero e di sani costumi: “…
il
dissidio, o mortal, delle tue cure nella diva armonia sommergerà”, “tutto
in questo tempio dovrà essere serietà, senno, benefizio e giubilo”.
Per concludere voglio ricordare, donare un pensiero a quell'
"asin bigio"; l'ho visto, l'ho conosciuto, è dovunque,e’
l’asino per antonomasia: sta lì all'angolo di ogni strada, non ti degna di uno
sguardo mentre è intento a rosicchiare il suo cardo: è insensibile a tutto ciò
che lo circonda, non si scomoda neanche gli crollasse il mondo addosso,
convinto di realizzarsi sgranocchiando un cardo rosso e turchino. Bisogna però
capirlo: aveva un cugino, il quale un giorno, per spaventare gli altri animali
o semplicemente per primeggiare su di essi, volle mettersi indosso una pelle di
leone … ma finì sbranato.
…Ansimando fuggìa la vaporiera
Mentr'io così piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Quella fanciullezza non
gli apparteneva piu’, se non nella nostalgia,…come a tutti noi.
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