Queste bestie erano destinate alla macellazione. Ma mai avrebbero potuto entrare nel ciclo alimentare: la loro carne sarebbe stata pericolosa per l' uomo. Dovevano essere abbattute. L' ordine sanitario è arrivato poco più di due mesi fa. Il trasporto soltanto ieri: si è dovuto attendere, come impone la legge, la nascita di un centinaio di agnelli visto che molte capre erano gravide. Saranno tutti uccisi. Agli otto allevatori colpiti la Regione ha riconosciuto un rimborso (poco più di centomila euro) ritenuto però assolutamente insufficiente. «Gli unici a pagare siamo stati noi che ci siamo ammalati e abbiamo perso il lavoro. E queste povere bestie - spiega Fornaro - Gli altri sono là, con le ciminiere che continuano ad avvelenarci».
«La storia degli agnelli di Taranto è un po' il paradigma dell' inquinamento di questa città: rimane la strage degli innocenti e quel senso di impunità» denunciano le associazioni ambientaliste. «Il fatto che ci sia una contaminazione nella catena alimentare - spiega il direttore regionale dell'Arpa, Giorgio Assennato - rende ancora più urgenti le misure di contenimento delle emissioni tossiche». Misure che il consiglio regionale della Puglia discuterà il 16 dicembre: proposta dal governatore Nichi Vendola (e passata in commissione con l' astensione dell' opposizione) la legge pugliese imporrebbe il dimezzamento delle emissioni a tutte le fabbriche (Ilva compresa) entro aprile prossimo e una riduzione di circa otto volte quelle attuali nel 2010. Poi, ci sono le pecore. Che potrebbero diventare il simbolo del futuro di Taranto: alcune analisi, disposte alla Procura, potrebbero dimostrare la matrice della diossina. Indicherebbero cioè per la prima volta in maniera scientifica (e giudiziaria) la correlazione tra l' inquinamento e l' inquinatore. Saranno le pecore a dare un nome e un cognome agli avvelenatori di Taranto.
(16 dicembre 2008)
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