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martedì 16 novembre 2010

GIUSTIZIA NEGATA : QUANDO IL C.T.U. NON TIENE FEDE AL MANDATO RICEVUTO E DIVENTA UNO SPERGIURO

 
IL CITTADINO UTENTE DIVENTA VITTIMA

Non sempre il cittadino fruitore  si trova ad avere come unico interlocutore il magistrato giudicante, uno di quei tanti servitori dello stato che con onestà, spirito di sacrificio e abnegazione si muovono nel malconcio mondo della giustizia per garantire al cittadino/utente un giusto processo. Spessissimo, vista la non onniscienza dei magistrati, ci si trova di fronte il C.T.U (Consulente Tecnico d’Ufficio) una categoria nella maggioranza dei casi corretta, preparata ed onesta, ma come per tutte le cose umane c’è una parte, non trascurabile di questi, che si lascia guidare o da un’impreparazione genetica o persegue le regole del favore, dettate da mera amicizia o dall’“opportunità”, il risultato finale è in entrambi i casi il danneggiamento di una delle parti.

Il discorso sui C.T.U. è stato sempre una nota dolente sia per gli operatori della giustizia che per l’utenza. Un macrobubbone su cui il legislatore in anni di democrazia repubblicana non ha mai posto attenzione. E’ semplice ridurre il tutto a poche ‘battute’, che non fanno assolutamente ridere,  ma che generano nel cittadino fruitore un forte senso di frustrazione e sfiducia. Per una sommaria analisi della questione è giusto che si parta dal reclutamento, a dir poco anomalo, di questi consulenti: si accede all’elenco facendo solo una istanza al Tribunale di riferimento. A differenza della moltitudine degli italiani che intendono mettersi al servizio dello Stato, parliamo dei comuni mortali, a cui viene chiesto la partecipazione a concorso, a questi figli della gallina bianca è riservata una strada, anzi un nido di favore; a costoro non viene chiesto, salvo il titolo di studio, un vero e documentato curriculum professionale, fatto di titoli accademici o esperienze professionali solide. Cosa che vale anche per l’assegnazione degli incarichi che vengono conferiti con la logica della “riffa” avvero con la pesca del nominativo dal “panariello”.
Abbiamo detto comunque che il cittadino/utente non resta nudo davanti al magistrato giudicante quanto davanti al C.T.U. quando ha poco di professionalità e di onestà.
Cosa resta quindi al cittadino vittima di una “Relazione di consulenza tecnica d’ufficio” non corretta o forse anche mendace?: subire l’angheria con tutte le conseguenze del caso o affrontare il problema da cittadino corretto che ha senso del dovere e della legalità. Cosa significa? Una volta accertata, anche con l’ausilio di un onesto e capace consulente, l’arbitrarietà consumata dal C.T.U. rivolgersi con circostanziato e documentato esposto alla Procura della Repubblica competente per territorio chiedendo se si ravvisano gli estremi di reati penali, sarà la magistratura inquirente a fare il suo corso, nel contempo chiedere con un’azione legale per il riconoscimento dei danni materiali e fisici subiti tanto attraverso il ricorso all’ordinaria azione per danni ove il C.T.U. sia incorso in colpa grave o, peggio, dolo.
Con il placet della coscienza e l’aiuto di Dio.

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