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mercoledì 7 marzo 2012

Legge europea per le quote rosa, forse!

Viviane Reding
di Anna L'Assainato
È di questi giorni la notizia che la Commissione Europea non escluda la possibilità di ricorrere a una legge europea sulle quote rosa. Un anno fa infatti la commissaria alla Giustizia dell’UE Viviane Reding aveva invitato le aziende europee a firmare un patto volontario per nominare più donne nei propri uffici direttivi. L’invito non ha sortito l’effetto desiderato tanto che solo 24 aziende sottoscrissero quel documento. Così sebbene la stessa Reding si sia dichiarata “non una gran fan delle quote” ma desiderosa di ottener il risultato auspicato dalla Commissione Europea, e cioè il 40% delle donne nei consigli di amministrazione  delle società quotate, ha lanciato una consultazione pubblica per generare iniziative che portino a equilibrare la parità dei sessi. 


Dato che  i numeri sono aridi ma utili,  preme dire che la media europea di presenze femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate è del 13,7%, quella italiana 6,7% , ben lontani dall’atteso 40% della Commissione Europea. Il divario uomo donna non si limita alle presenze ma anche alle retribuzioni: in Europa la retribuzione di un uomo è mediamente più alta del 15% di quella di una donna, eppure già nei Trattati Europei del 1957 si sanciva il diritto ad ugual salario per ugual lavoro.
Non siamo lontani dall’Europa solo per quanto riguarda le quota rosa delle manager, siamo lontani dall’Europa anche per le storie di ordinaria “maternità”. È sempre di questi giorni, edito da Feltrinelli, la pubblicazione del libro inchiesta della giornalista Chiara Valentini, o i figli o il lavoro. Nel titolo la sintesi dell’attuale condizione femminile: un bivio, da una parte il naturale desiderio di maternità dall’altra la professione, in mezzo un percorso ad ostacoli per chi vuole procedere su uno spartiacque che diviene ogni giorno più arduo. Un’analisi densa di storie vere su quanto sia difficile in questo Paese, da nord a sud, conciliare famiglia e lavoro.
Se, quindi, nel 2012 ancora si deve ricorrer alle quote rosa per “garantire” alle donne le stesse possibilità di accesso alla stanza dei bottoni ancora ad appannaggio degli uomini; se ancora ci si trova di fronte all’amletico dubbio “figli o lavoro” come se le due opzioni fossero mutualmente escludenti; se ancora si deve ribadire che una retribuzione per una prestazione lavorativa dipende solo dalla prestazione lavorativa e deve esser uguale sia se ad erogar quel lavoro sia un uomo che una donna allora non è retorico parlar dell’8 marzo come della giornata della donna, e non è retorico se un uomo dona un fiore a una donna, che sia la propria compagna, sorella, collega, amica, mamma, figlia a condizione che quel fiore sia accompagnato da un proposito vero e sentito di esserle al fianco nella “rivoluzione” affinché la parità dei sessi non sia solo una bella parola, che sia realmente disposto a perder il suo ruolo “predominante” ottusamente detenuto e difeso per secoli a favore di una donna.  
 Buon otto marzo a tutti.

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