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venerdì 16 marzo 2012

L'incendiario riabilitato dalla Storia

L'hanno accusato di avere raso al suolo Roma e di aver appiccato l’incendio. Ma non era colpevole! Anzi: organizzò i soccorsi, accolse i senzatetto, poi costruì la reggia.

Tutto era iniziato in una notte di plenilunio, il 19 luglio del 64 dopo Cristo. Nei magazzini del Circo Massimo divampò il fuoco. In un attimo le fiamme si insinuarono nei vicoli angusti di Roma, inghiottirono le case di legno in cui abitava la plebe.

La città bruciò per nove lunghi giorni. Corse subito voce che il rogo fosse stato appiccato dallo stesso Nerone: c'era persino chi giurava di avere visto l'imperatore mentre intonava sulla cetra il suo poema sull'incendio di Troia. Era tutto falso, e persino Tacito, lo storico che più di ogni altro ha contribuito a costruire la leggenda nera di Nerone, deve riconoscerlo. Nerone si trovava ad Anzio: appena seppe dell'incendio tornò a Roma e fu formidabile nell'organizzare i soccorsi. Accolse i senzatetto nei giardini imperiali, ridusse il prezzo del frumento, allestì carovane di rifornimenti dal porto di Ostia.

Tra le righe del testo di Tacito si distingue chiaramente l'encomiabile attivismo di Nerone. Eppure, neanche questa prova di dedizione al suo popolo è bastata a togliergli la fama di tiranno folle e piromane. Nerone, allora, aveva 27 anni: era diventato imperatore dieci anni prima. All'inizio conciliante con il ceto senatorio, aveva ormai cambiato politica. Ora si mostrava come un sovrano assoluto e limitava i privilegi dei senatori. Ma ai senatori, come Tacito, rimase in mano la penna: e poichè la storia la fa chi la scrive, Nerone è stato condannato a rivestire in eterno i panni del tiranno sanguinario. Panni che gli furono cuciti addosso anche dai cristiani, sempre per colpa dell'incendio di Roma. Per dare al popolino un colpevole, infatti, Nerone crocifisse e fece bruciare vivi un certo numero di cristiani: nel buio della notte, racconta Tacito, le croci ardevano come fiaccole nelle strade di Roma. Il popolo amava Nerone anche per questi suggestivi spettacoli.

Anche dopo l'incendio, comunque, Nerone si comportò con saggezza. Disegnò piani regolatori per una città cresciuta nel caos della speculazione edilizia. Ordinò che tra le case fosse osservata una distanza di sicurezza, per rendere più difficile la propagazione del fuoco. Tuttavia, trovandosi di fronte un'ampia zona di Roma già spianata, decise di costruirvi la sua reggia. Chiamò gli architetti Severo e Celere, artefici raffinati e d'avanguardia. Chiese loro un palazzo che ricordasse i meravigliosi paradisi dei sovrani orientali. Il risultato ci è così descritto da Svetonio: 'V'era uno stagno simile a un mare cinto da edifici formanti delle città; e ville con campagne, vigneti, pascoli, selve, popolati da una moltitudine di bestiame e selvaggina di ogni genere. Ogni cosa era coperta d'oro, di gemme preziose e conchiglie perlifere. C'erano sale da pranzo con soffitti di lastre d'avorio mobili e forate perchè si potessero far piovere dall'alto fiori e profumi, e una sala principale rotonda, che con moto perpetuo girava giorno e notte secondo il moto della Terra'.

I romani erano sbalorditi dalla grandiosità della Domus Aurea. Ma Nerone restava assorto nel suo sogno. Radunò nella sua reggia molti capolavori della scultura greca, come il celebre gruppo del Laocoonte o il Galata morente. E convocò il pittore Fabullo, affidandogli la decorazione di stanze e corridoi. La Domus Aurea, scrive Plinio il Vecchio, fu il carcere dell'arte di Fabullo, che non ebbe tempo e modo di dedicarsi ad altro.

Comunque la Domus Aurea basta e avanza per illustrare la maestria di questo stravagante artista, che amava dipingere indossando la toga, come se andasse a una cerimonia solenne. Ci sono pitture, che sembrano quadri impressionistici: paesaggi dipinti a macchia, con poche e rapide pennellate. E poi c'è un genere di dipinti che rimanda al Quarto stile pompeiano: architetture fantastiche e arditi giochi di prospettiva. Alcune pitture sono puramente decorative, altre svolgono temi mitologici. Nella Sala di Achille a Sciro si dispiega l'episodio meno glorioso nella carriera dell'eroe omerico: quella volta che Achille, travestito da donna, si nascose nell'isola di Sciro per scansare la guerra di Troia.

Nerone non potè godere a lungo di tanto splendore. Un lungo viaggio in Grecia e gli ozi nella villa di Baia lo tennero spesso lontano da Roma. Nell'anno 69 si uccise, mentre le legioni del vecchio Galba, governatore della Spagna, marciavano su Roma per detronizzarlo. Poi gli imperatori Flavii costruirono le loro terme e i loro anfiteatri sulla Domus Aurea. Il Colosseo occupò lo spazio del grande lago della reggia neroniana: prese il suo nome proprio dalla statua colossale di Nerone che sorgeva lì vicino, e che sopravvisse solo perchè reinterpretata come immagine del dio Sole. Le grandi, lussuose stanze, spogliate degli ori e dei marmi, divennero umide grotte sotterranee. Così moriva il sogno di Nerone. Ma non la sua leggenda: già in Asia e in Grecia qualcuno giurava che l'imperatore non era morto, anzi marciava verso Roma, splendido come un dio, per riprendere possesso della Domus Aurea.

'Il popolo amava Nerone. Perchè opprimeva i grandi ma era lieve con i piccoli' diceva Napoleone, che di certe cose se ne intendeva. La storia, però, non l'ha scritta la plebe di Roma. L'hanno scritta i 'grandi', come Tacito, come Svetonio. E l'hanno riscritta, poi, i cristiani che, da Tertulliano a Sant'Agostino, hanno visto in Nerone la controfigura dell'Anticristo. Così, per secoli, l'apprezzamento per Nerone è rimasto confinato fra pochi stravaganti. Come l'umanista Girolamo Cardano (1501-1576), autore di un paradossale Encomium Neronis.


Ma il Tempo e’ sempre…..galantuomo e corregge gli errori e gli orrori degli uomini!

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