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sabato 31 marzo 2012

“Vere Papa mortuus est”

“Sono le 21.37 del 9.655esimo giorno del suo pontificato (il terzo più lungo della storia dopo san Pietro e Pio IX) quando, a 85 anni, Giovanni Paolo II si spegne (2 aprile 2005). Causa del decesso: «shock settico e collasso cardiocircolatorio irreversibile». Alle 22 il segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano, dà l’annuncio a una piazza San Pietro gremita di fedeli in preghiera (quasi centomila persone). Dalla piazza parte un forte applauso. Si intona la Salve Regina che in molti cantano fra le lacrime. Poi suonano le campane e ricominciano le preghiere.
 «Lasciatemi andare al Signore» è stata l’ultima frase del Papa. Per onorare il lutto si fermano lo sport e la campagna elettorale per le regionali, chiusa un giorno in anticipo”(Corriere della Sera)

 
Mano a mano che ci si allontana nel tempo, il giudizio storico sul pontificato di Giovanni Paolo II diventa più difficile. Gli infiniti record di quel Papa scolorano, i ricordi si mescolano alle nostalgie di chi li vive e sembrano ugualmente arbitrari bilanci di segno opposto che punteggiano libri basati sulle migliaia di pagine di atti del Papa che forse anche lui ha letto una volta sola in vita sua. Il suo sta dunque diventando un pontificato grigio, da consegnare alla ricerca storica perché ne colga i dettagli e rinunci all’insieme? Il rapidissimo processo di beatificazione, che non ha lavorato a fondo sulle carte, finirà per "caramellare" il Papa polacco, facendo di quei lunghissimi anni fra il 1978 e il 2005 un ripostiglio dove, insieme al pastorale di Montini che aveva girato il mondo prima di finire chissà dove, si ammasseranno formule, categorie, generalizzazioni di vario segno? Non necessariamente:  il tempo ha già iniziato (e continuerà) a depositare sul tavolo degli storici quello che è «normale» in un papato, mentre consegna alla memoria collettiva quelle che sono le perle del pontificato di Giovanni Paolo II:.Quei gesti e momenti che non riducono la portata di tanti atti e politiche, non appiattiscono le contraddizioni e gli errori, ma che agiscono dentro la Chiesa al di là delle previsioni degli altri, se non delle sue intenzioni— e alle quali la Chiesa può forse alimentarsi ancora. 
 Ci sono due antichissimi riti che riguardano l’inizio e la fine di un pontificato e che ruotano intorno al nome del Papa. Il primo avviene al momento dell’elezione quando il cardinale decano si rivolge al neo eletto e chiedendogli se accetta l’elezione canonica al pontificato gli chiede anche: “con quale nome vuoi essere chiamato?”. Il secondo rito, caduto in disuso dopo Pio IX ma curiosamente recuperato con Giovanni Paolo II, è il cosiddetto rito del “vere Papa mortuus est” con il quale il Camerlengo di Santa romana Chiesa accerta la morte del pontefice: il Camerlengo mormora per due volte il nome di battesimo del  papa, e non ottenendo risposta pronuncia le parole di un dolore bi millenario, “vere Papa mortuus est”(Il Papa e' morto davvero). Ogni pontefice andando a sedere sulla Cattedra di Pietro, cambia il suo nome e ne assume uno che ricorda lo splendore del papato, che sa di dinastia ininterrotta con quei numeri romani che seguono dopo il nome, eppure al cospetto della morte ogni dignità, ogni segno di potere scompare e il Papa viene restituito alla terra, anzi al cielo, con il suo nome di battesimo.
 Così è stato anche per Papa Wojtila che prese il nome di Giovanni Paolo II, per onorare i suoi predecessori e soprattutto il suo sfortunato predecessore Albino Luciani, e che sul letto di morte tornò nuovamente Karol. Eppure Papa Wojtila sembra sfuggire a questo secolare meccanismo, sembra aver eluso questi vetusti rituali, sembra esser stato sempre Karol. L’uomo Karol Wojtila non è mai stato fino in fondo il Papa Giovanni Paolo II, l’umanità che ha sempre caratterizzato Wojtila ha probabilmente prevalso sulla pesante ed ingombrante figura papale, trasformandola e, spogliandola quasi di sacralità, rendendola più vicina agli uomini e alle donne dei nostri tempi. E’ forse questo il motivo del successo mondano di Papa Wojtila, cioè di quella naturale e contagiosa simpatia che il papa polacco riusciva, e riesce, a destare tra l’incerta gioventù e i più lontani dalla Chiesa.
Wojtila, con la sua umanità e con le sue indiscutibili doti comunicative, seppe dare un’altra immagine di Chiesa, più aperta, meno ingessata e soprattutto vicina ed accogliente, non è allora un caso che questo Papa sia rimasto nei cuori della gente e che la sua beatificazione non sia solo una festa per coloro che credono ma anche per coloro che sono rimasti affascinati dall’uomo Wojtila. In questo contesto i media, e a dire il vero anche il comune sentire, hanno avuto gioco facile a rilevare, a volte con imbarazzanti confronti, un ritorno alla “normalità papale” con il pontificato di Benedetto XVI: chi di noi non ha sentito fare un paragone, nella maggioranza dei casi sfavorevoli a Joseph Ratzinger, tra i due pontefici? E’ vero che Benedetto XVI ha un altro carattere, un altro stile e forse anche un altro modo di concepire il ruolo del Papa, eppure sul piano dottrinale nulla, proprio nulla, distingue il papa tedesco da quello polacco: entrambi, ed è bene ricordare che hanno sempre lavorato insieme, hanno ribadito la dottrina ufficiale della Chiesa in tutti i campi, specie i più scottanti ed attuali come quello della morale.
 Ma a margine della beatificazione di Giovanni Paolo II bisogna anche fare un’altra riflessione che riguarda il giudizio storico sul suo pontificato. Il processo di beatificazione di Papa Wojtila è stato il più veloce della storia della Chiesa, indubbiamente grazie anche ad un manifesto e forte  consensus fidelium, ma ciò non può e non deve condizionare il giudizio della storia che ha bisogno di tempi ben più lunghi. Sono due cose che devono necessariamente restare separate, soprattutto nel caso di Giovanni Paolo II e del suo complesso pontificato che Filippo Gentiloni così descriveva: “Un pontificato forte, quello di Giovanni Paolo II, segnato da grandi successi, ma anche da scacchi rilevanti, da valutazioni contrastanti, spesso contestato più dall’interno del cattolicesimo che dall’esterno, dai vicini più che dai lontani”.  Un pontificato complesso, contraddittorio per alcuni, enigma addirittura per Tadeusz Styczen, allievo e grande amico di Giovanni Paolo II.  Questa complessità richiede tempo, studio e riflessione soprattutto per coglierne le conseguenze nella vita della Chiesa e non può essere liquidata da emotività che, come già detto, rischiano di adulterare la figura stessa di Giovanni Paolo II. Non è detto allora che a san Giovanni Paolo II corrisponda un Giovanni Paolo Magno, perché se il “san” sembra ormai a portata di mano, il “magno” potrebbe tardare a venire. Comunque, questo e’ il destino di quei “grandi” che forgiano e plasmano la Storia.

Ultima considerazione:l’apparente contraddizione tra il sovrano teocratico assoluto,ammantato nella potenza ieratica della Chiesa di Cristo e la smorfia di dolore e sofferenza nell’incedere di questo Papa mentre innalza “vexilla Regis”.
Non e’ una contraddizione ma una perfetta simbiosi nell’effimera natura di quell’essere imperfetto che risponde al nome di uomo: “ecce homo!”

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